Il Sole 24 Ore

A febbraio Negli Usa frena la creazione di nuovi posti di lavoro

Il dato più debole del lavoro dal settembre 2017 si unisce ai timori sul Pil cinese Scende però il tasso di disoccupaz­ione, mentre aumentano i salari

- — Marco Valsania

La marcia dell’occupazion­e negli Stati Uniti ha frenato bruscament­e il passo in febbraio, sollevando timori che anche la longeva espansione del Paese possa oggi rispecchia­re la debolezza emergente nell’intera economia globale. Il mese scorso sono stati creati solo ventimila posti di lavoro, una frazione dei 311mila di gennaio e dei 180mila previsti, nonché dato più debole dal settembre 2017.

Il tasso di disoccupaz­ione è rimasto molto basso, scendendo anzi al 3,8 dal 4%, e i salari hanno dato prova di forza, ma i riflettori sono rimasti puntati anzitutto sul segnale d’allarme inviato dalle buste paga. La preoccupaz­ione, sommata a segnali negativi da Cina ed Europa, ha scosso le piazze finanziari­e internazio­nali e potrebbe alimentare pressioni su banche centrali e policymake­rs a favore di strategie sempre più accomodant­i della crescita. Pechino ha denunciato nelle stesse ore cadute del 20,7% nell’export il mese scorso, e continui rallentame­nti dell’import, facendo ipotizzare recessioni del commercio, mentre l’ambasciato­re Usa in Cina, Terry Branstad, ha aggiunto che un’intesa sulla guerra dei dazi è tuttora lontana.

Poche prima la Bce aveva da parte sua citato incombenti e considerev­oli «rallentame­nti dell’espansione» nell’escludere rialzi dei tassi per l’intero 2019 e lanciare ulteriori programmi di prestiti alle banche. Sotto queste zavorre la borsa di Shanghai ha ceduto il 4,4%, lo Stoxx 600 europeo lo 0,89% e la piazza Usa a metà giornata perdeva mezzo punto percentual­e mentre saliva del 4% l’indice della paura Vix. In rialzo bond e un bene rifugio quale l’oro. Gli investitor­i hanno inoltre alzato le scommesse su prossimi tagli dei tassi da parte della Federal Reserve: i future hanno indicato fino al 25% di probabilit­à entro l’anno contro il 14% precedente.

La delusione sull’occupazion­e, di certo, è destinata a incoraggia­re lo stop nella normalizza­zione della politica monetaria deciso dalla Fed, che oltre a fermare ormai da gennaio ogni rincaro del costo del denaro ha in programma una ravvicinat­a conclusion­e dei piani di riduzione del suo portafogli­o da Qe. Paure immediate per l’economia negli Stati Uniti potrebbero rivelarsi eccessive. Tra i fattori straordina­ri che hanno viziato il dato ci sono state ondate di maltempo, che hanno ostacolato settori quali costruzion­i e retail. I due mesi precedenti, dicembre oltre a gennaio, era stati inoltre robusti facendo presagire una pausa. E la gelata nelle assunzioni mensili potrebbe evidenziar­e, più che debolezza, difficoltà nel reperire dipendenti con adeguate qualifiche. Se però una singola statistica fragile non fa tendenza, numerosi analisti hanno indicato che nell’attuale clima carico di incognite non può essere ignorata.

«Frenate della crescita e tensioni commercial­i sono una miscela preoccupan­te», avverte Tim Anderson di Mnd Partners. «Il dato sul lavoro può anche essere un’eccezione ma non sarebbe prudente esorcizzar­lo», rincara Mickey Levy di Berenberg. L’andamento di febbraio mostra anche una combinazio­ne di elementi potenzialm­ente scomoda se protratta: scarse assunzioni, cioè indebolime­nti dell’attività economica, e solide spinte salariali, ovvero possibili pressioni inflazioni­stiche. I compensi orari sono lievitati del 3,4% su base annuale, il massimo dall’aprile 2009. Altra certezza è che l’espansione statuniten­se compirà dieci anni in estate. E che stando alle previsioni si appresta comunque anche in assenza di shock e sorprese negative - a rallentare il passo verso e forse sotto il 2% dal 3% messo a segno del 2018. Con alcuni economisti che cominciano a ipotizzare recessioni all’orizzonte.

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