No al presidente fantasma, la piazza contro Bouteflika
La protesta per un quinto mandato si allarga e compatta l’opposizione
Questa volta sono riusciti ad infrangere il muro della paura, a non pensare al “decennio nero”, il trauma collettivo da cui l’Algeria, a distanza di 20 anni, non è ancora guarita.
Dal 22 febbraio decine di migliaia di algerini sono scesi in piazza per protestare contro il presidente Abdelaziz Bouteflika, 82 anni, candidatosi per il quinto mandato consecutivo alle elezioni presidenziali del 18 aprile. Ieri, terzo venerdì di protesta, la manifestazioni contro la candidatura del “presidente fantasma” hanno assunto dimensioni senza precedenti: almeno mezzo milione di persone per la polizia. Occorre tornare indietro al 1991, quando l’esercitò annullò le elezioni vinte dai movimenti islamici (e il Paese scivolò nella guerra civile), per ricordarne di simili. Solo ad Algeri ieri decine di migliaia di persone hanno riempito le strade. La contestazione a Bouteflika cresce. Giovedì 15 partiti di quell’opposizione finora frammentata, oltre a 4 sindacati, hanno appoggiato le proteste. Anche diversi parlamentari del partito di governo, l’Fln, si sono dimessi unendosi ai manifestanti. Che ora possono contare anche sull’influente fondazione dei veterani della guerra di indipendenza e sugli avvocati.
Lo scontento è diffuso. Il crollo dei prezzi del greggio, iniziato nel giugno del 2014, ha inferto un duro colpo all’economia di un Paese abituato a generosi sussidi statali. L’inflazione sta crescendo mentre la disoccupazione ha raggiunto livelli preoccupanti tra i giovani. Che protestano.
Ma Bouteflika non può udire le loro grida. Ancora una volta si trova all’estero per curarsi, in una clinica a Ginevra. D’altronde è dal 26 aprile 2013, il giorno in cui un grave ictus lo colpì, costringendolo su una sedia a rotelle, che non compare in pubblico. In un messaggio fatto leggere ieri ha elogiato il carattere pacifico delle manifestazioni, ma anche messo in guardia dal «caos» che potrebbe derivare. Un comunicato che convince poco. Rachid Nekkaz, uno dei candidati dell’opposizione alle presidenziali, ha messo in discussione l’esistenza di Bouteflika: «Tutti quanti sanno che è morto», ha avvertito. Se non è morto, le gravi condizioni di salute non lo rendono certo in grado di governare. Ad Algeri corre voce di come il potere sia in realtà gestito dai fratelli e dagli alti funzionari del regime, in prima linea dai vertici dell’esercito. Insomma da quello che gli algerini definiscono “le pouvoir”, il potere, o “le Système”, il sistema che dalla fine della guerra civile, nel 2002, perpetua sé stesso e che ha creato un’ingombrante macchina burocratica ingolfata dalla corruzione.
Nel tentativo di riportare la calma Bouteflika, o chi per lui, ha fatto leggere in Tv un comunicato in cui assicura che, se verrà rieletto, darà il via ad una modifica della Costituzione, da approvare con referendum, e ad elezioni anticipate, tra un anno, a cui non si candiderà. Aveva fatto una promessa simile nel 2012. Ma il cambiamento che ne seguì fu solo di facciata. Al di là di Bouteflika, le fazioni al potere non riescono a trovare un candidato che li unisca. Il capo dell’esercito ha perfino evocato lo spettro del decennio nero. Un trauma ancora vivo. Ma questa volta gli algerini hanno rotto il muro della paura.