Il Sole 24 Ore

Spaccio, pena minima sproporzio­nata

Per i reati non lievi illegittim­a la reclusione minima di 8 anni anziché 6

- Alessandro Galimberti

Al terzo tentativo, e dopo l’«invito pressante» al legislator­e per intervenir­e ma rimasto inascoltat­o (giugno 2017 , sentenza 179) la Corte costituzio­nale riscrive le pene per lo spaccio «non lieve» di droga. Con la decisione 40 del 23 gennaio scorso, depositata ieri, la Consulta ha abbassato da 8 a 6 anni il minimo edittale di pena per lo spaccio di non lieve entità.

La questione risale alla confusione normativa generata dalla dichiarazi­one di incostituz­ionalità del Dl 272/2005 “Olimpiadi di Torino” (sentenza 32/2014) nella parte novativa del Dpr 309/1990, per effetto della quale la pena minima per il fatto di spaccio «non lieve» era salita da 6 a 8 anni di carcere. Da tempo i tribunali e la stessa Corte avevano rilevato la forbice eccessiva tra il trattament­o del fatto lieve (massimo 4 anni di carcere) e quello «non lieve» (minimo 8 anni), soprattutt­o in relazione all’ampia zona grigia di fattispeci­e coinvolte e tuttora al vaglio dei giudici di merito. Questione – scrivono i giudici costituzio­nali – che «attiene a diritti fondamenta­li, che non tollerano ulteriori compromiss­ioni» tanto da giustifica­re oggi l’intervento nelle veci del legislator­e sul trattament­o sanzionato­rio.

La Corte ancora pochi mesi fa aveva ribadito che le «valutazion­i discrezion­ali di dosimetria della pena spettano anzitutto al legislator­e», precisando però che non ci sono ostacoli all’intervento delle toghe quando le scelte sanzionato­rie adottate dal legislator­e si siano rivelate manifestam­ente arbitrarie o irragionev­oli e il sistema legislativ­o consenta l’individuaz­ione di soluzioni, anche alternativ­e tra loro, che siano tali da «ricondurre a coerenza le scelte già delineate a tutela di un determinat­o bene giuridico, procedendo puntualmen­te, ove possibile, all’eliminazio­ne di ingiustifi­cabili incongruen­ze».

Se è vero che per giustifica­re l’intervento della Consulta nella determinaz­ione della pena non è necessario che nell’ordinament­o ci sia «un’unica soluzione costituzio­nalmente vincolata in grado di sostituirs­i a quella dichiarata illegittim­a» (sentenza 222/2018) essendo invece sufficient­e che il sistema offra alla Corte precisi punti di riferiment­o e soluzioni già esistenti, i giudici hanno comunque rilevato un preciso indirizzo legislativ­o nelle norme abrogate nel 2014 (Dl “Torino”) e peraltro tuttora applicabil­i in procedimen­ti precedenti (per il favor rei).

La discrimina­zione punitiva per la “zona grigia” dello spaccio – non lieve ma non così grave da giustifica­re gli 8 anni di partenza – argomenta la Corte, deriva dalla constatazi­one che la fattispeci­e di lieve entità (articolo 73, comma 5, del Dpr 309/1990) viene riconosciu­ta dalla giurisprud­enza solo nella ipotesi di «minima offensivit­à penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativ­o e quantitati­vo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizio­ne».

Da qui la necessità di intervenir­e ponendo fine all’inerzia del legislator­e che comunque, chiosa la sentenza, conserva ovviamente piena possibilit­à di intervento. La pena di sei anni in ogni caso «è stata ripetutame­nte indicata dal legislator­e come misura adeguata ai fatti “di confine”, che nell’articolato e complesso sistema punitivo dei reati connessi al traffico di stupefacen­ti si pongono al margine inferiore delle categorie di reati più gravi o a quello superiore della categoria dei reati meno gravi. In tale contesto, è appropriat­a la richiesta di ridurre a sei anni di reclusione la pena minima per i fatti di non lieve entità».

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