Spaccio, pena minima sproporzionata
Per i reati non lievi illegittima la reclusione minima di 8 anni anziché 6
Al terzo tentativo, e dopo l’«invito pressante» al legislatore per intervenire ma rimasto inascoltato (giugno 2017 , sentenza 179) la Corte costituzionale riscrive le pene per lo spaccio «non lieve» di droga. Con la decisione 40 del 23 gennaio scorso, depositata ieri, la Consulta ha abbassato da 8 a 6 anni il minimo edittale di pena per lo spaccio di non lieve entità.
La questione risale alla confusione normativa generata dalla dichiarazione di incostituzionalità del Dl 272/2005 “Olimpiadi di Torino” (sentenza 32/2014) nella parte novativa del Dpr 309/1990, per effetto della quale la pena minima per il fatto di spaccio «non lieve» era salita da 6 a 8 anni di carcere. Da tempo i tribunali e la stessa Corte avevano rilevato la forbice eccessiva tra il trattamento del fatto lieve (massimo 4 anni di carcere) e quello «non lieve» (minimo 8 anni), soprattutto in relazione all’ampia zona grigia di fattispecie coinvolte e tuttora al vaglio dei giudici di merito. Questione – scrivono i giudici costituzionali – che «attiene a diritti fondamentali, che non tollerano ulteriori compromissioni» tanto da giustificare oggi l’intervento nelle veci del legislatore sul trattamento sanzionatorio.
La Corte ancora pochi mesi fa aveva ribadito che le «valutazioni discrezionali di dosimetria della pena spettano anzitutto al legislatore», precisando però che non ci sono ostacoli all’intervento delle toghe quando le scelte sanzionatorie adottate dal legislatore si siano rivelate manifestamente arbitrarie o irragionevoli e il sistema legislativo consenta l’individuazione di soluzioni, anche alternative tra loro, che siano tali da «ricondurre a coerenza le scelte già delineate a tutela di un determinato bene giuridico, procedendo puntualmente, ove possibile, all’eliminazione di ingiustificabili incongruenze».
Se è vero che per giustificare l’intervento della Consulta nella determinazione della pena non è necessario che nell’ordinamento ci sia «un’unica soluzione costituzionalmente vincolata in grado di sostituirsi a quella dichiarata illegittima» (sentenza 222/2018) essendo invece sufficiente che il sistema offra alla Corte precisi punti di riferimento e soluzioni già esistenti, i giudici hanno comunque rilevato un preciso indirizzo legislativo nelle norme abrogate nel 2014 (Dl “Torino”) e peraltro tuttora applicabili in procedimenti precedenti (per il favor rei).
La discriminazione punitiva per la “zona grigia” dello spaccio – non lieve ma non così grave da giustificare gli 8 anni di partenza – argomenta la Corte, deriva dalla constatazione che la fattispecie di lieve entità (articolo 73, comma 5, del Dpr 309/1990) viene riconosciuta dalla giurisprudenza solo nella ipotesi di «minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla disposizione».
Da qui la necessità di intervenire ponendo fine all’inerzia del legislatore che comunque, chiosa la sentenza, conserva ovviamente piena possibilità di intervento. La pena di sei anni in ogni caso «è stata ripetutamente indicata dal legislatore come misura adeguata ai fatti “di confine”, che nell’articolato e complesso sistema punitivo dei reati connessi al traffico di stupefacenti si pongono al margine inferiore delle categorie di reati più gravi o a quello superiore della categoria dei reati meno gravi. In tale contesto, è appropriata la richiesta di ridurre a sei anni di reclusione la pena minima per i fatti di non lieve entità».