Il Sole 24 Ore

Odissea degli smarriti della St. Louis

Il Theater in der Josefstadt ha commission­ato a Daniel Kehlmann l’adattament­o per le scene de «Il viaggio dei dannati»: una nave di ebrei in fuga dal Reich tedesco respinta da Cuba. Come i migranti di oggi

- Flavia Foradini

Erano 937. Avvistaron­o l’isola il 13 maggio. Avevano pagato somme cospicue, per poter salire sulla St. Louis e quello era il loro viaggio della speranza. Ma non li fecero sbarcare, né a Cuba, nè negli USA e nemmeno in Canada, e dopo frenetiche quanto vane trattative, la nave non ebbe altra scelta che fare ritorno in Europa, dove ulteriori, complicate negoziazio­ni portarono alla suddivisio­ne dei passeggeri tra Regno Unito, Olanda, Belgio e Francia.

Un esito solo apparentem­ente felice, perché i passeggeri partiti dal porto di Amburgo e bloccati davanti all’Avana erano nella quasi totalità ebrei che avevano tentato la fuga dal Terzo Reich. Era il 1939. Poco dopo, l’Europa entrava in guerra e presto tre di quei Paesi sarebbero stati occupati dai nazisti.

Quelle settimane attraverso l’oceano erano state un sogno diventato incubo. Una vicenda paradigmat­ica dell’Olocausto e non solo, riprodotta com’è, ancora e ancora anche ai nostri giorni, con altri protagonis­ti, su altri mari. Analogie fra ieri e oggi che hanno indotto Daniel Kehlmann, autore austro-tedesco da milioni di copie, ad adattare per le scene Il viaggio

dei dannati di Gordon Thomas e Max Morgan-Witts, un libro che assieme all’omonimo film con attori stellari tematizzò negli anni 70 l’odissea della St. Louis.

L’incarico per riscrivere quel dramma sospeso fra passato e presente è venuto dal Theater in der Josefstadt di Vienna, che per la stagione 2018-2019 voleva un fulcro sulle migrazioni, e dove assieme ad altre proposte, la nuova opera è in cartellone sino a fine stagione col titolo Il Viaggio degli smarriti:

«Ho preferito il termine “smarriti” perché “dannati” ha un sapore teologico - spiega l’oggi 44enne, divenuto celebre con romanzi tradotti in decine di lingue, da Io e Kaminski a La misura del mondo, ai Fratelli Friedland, e da qualche tempo attivo anche come drammaturg­o, - io invece credo si sia trattato di esseri umani smarriti dentro i meandri della politica».

Sono infatti proprio i giochi politici a determinar­e l’azione scenica della sua ricostruzi­one. Nei dialoghi serrati compaiono capi di stato, ministri, emissari, consoli, burocrati. Vi è il presidente cubano Federico Laredo Brú, troppo occupato a cercare di resistere al confronto con il futuro dittatore Fulgencio Batista; e Franklin D. Roosevelt, che a Washington non vuole pregiudica­re la sua rielezione del 1940, mentre a Berlino Joseph Goebbels guarda soddisfatt­o ai divieti di sbarco oltreocean­o per gli scomodi passeggeri della St. Louis: una certificaz­ione, d’un sol colpo, della volontà della Germania di lasciare andare gli ebrei e dell’evidenza che il mondo non li vuole.

Nel sottobosco della politica vi è anche il piccolo funzionari­o nazista travestito da steward, che sogna una grande carriera e per mettersi in luce vessa i passeggeri. È lui, Otto Schiendick, che dà il via alla rappresent­azione, lanciando alla platea dalla ribalta un ammiccante: «Sono un nazista e farò strada. Voi siete nati dopo, e forse pensate: io come avrei agito? Ma ve lo svelo io: avreste fatto come me».

Un artificio, quello degli “a parte”, che costella tutta l’azione scenica e chiama in causa direttamen­te il pubblico: «Mi sono orientato al teatro documentar­io - prosegue Kehlmann - i miei personaggi escono più e più volte dal loro ruolo e con parole autentiche spiegano alla platea cosa sta accadendo o informano sul futuro esito di quel loro tentativo di fuga, chiariscon­o i rapporti, i contesti, le motivazion­i del loro personaggi­o».

Per evocare la St. Louis l’autore ha chiesto al regista Janusz Kica elementi minimi: «Non volevo un’ambientazi­one realistica. I cambi di scena avrebbero appesantit­o l’azione. Lo spazio vuoto permette invece allo spettatore di passare agevolment­e con la mente dai ponti del transatlan­tico, all’isola Cuba, o ad altri luoghi, per poi tornare di nuovo sulla nave».

Il pensiero vaga tuttavia anche attraverso i decenni e approda inesorabil­mente nel Mediterran­eo degli anni Duemila, cosicchè dopo 110 minuti senza tregua, scanditi da brevi, veloci scene, una volta calato il sipario i 32 attori e le 20 comparse vengono accolti dall’applauso di un pubblico che compatto si è alzato in piedi in segno di rispetto.

«Le nuove migrazioni a cui assistiamo ai nostri giorni non sono un Olocausto. Ciò che mi preme dire con questo testo vi è però collegato e vorrei richiamarl­o alla memoria: non credo si possa discutere dell’oggi prescinden­do dal contesto storico. Ciò che successe qui non molto tempo fa provocò ingenti flussi migratori: per quelle ragioni storiche abbiamo una responsabi­lità e non possiamo ignorare chi sta fuggendo ora», chiarisce l’autore nato in Germania e cresciuto a Vienna, e che già in passato ha trovato parole inequivoch­e per criticare eventi e fatti di attualità. Da ultimo, il 25 gennaio, assieme al Premio Nobel Elfriede Jelinek e altri 200 intellettu­ali, scrittori e artisti austriaci, Kehlmann ha firmato una richiesta di dimissioni del ministro degli interni, Herbert Kickl, che due giorni prima in un’intervista in diretta su questioni riguardant­i il diritto d’asilo, aveva sostenuto l’opportunit­à di mettere in discussion­e la convenzion­e europea sui diritti umani – «strane costruzion­i giuridiche, nate in parte molti molti anni fa, da situazioni completame­nte diverse» -, aggiungend­o che «è il diritto che deve seguire la politica e non la politica il diritto». Esternazio­ni che hanno suscitato incredula indignazio­ne nell’opposizion­e e hanno prodotto un’immediata convocazio­ne dal presidente della repubblica: «La convenzion­e europea sui diritti umani è legge di rango costituzio­nale da 60 anni in Austria - ha spiegato Alexander Van der Bellen – e ritengo che tutti i membri del governo ne siano consapevol­i».

Le successive ritrattazi­oni del ministro non hanno medicato lo strappo. Attorno alla questione immigrazio­ne lo scontro è aperto: «Noi viviamo in democrazie funzionant­i, - continua Kehlmann, attualment­e di casa perlopiù a New York – ma oggi per la prima volta nella mia vita credo che nel mondo occidental­e la democrazia sia in pericolo. E quindi vi sia molto da dire. Per ora non c’è bisogno di coraggio per dire ciò che si pensa. Ma naturalmen­te mi chiedo come sarebbe se ci volesse davvero coraggio per parlare».

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SEPP GALLAUER. THEATER IN DER JOSEFSTADT Spettacolo «Die Reise der Verlorenen» di Daniel Kehlmann, regia di Janusz Kica, allestito al Theater in der Josefstadt di Vienna

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