I doppi discorsi di sapienti e dementi
Tra gli scritti attribuiti all’antica scuola dei sofisti, o all’area della loro influenza culturale, a noi ne è giunto uno, risalente al V-IV secolo prima di Cristo, dal titolo Dissoi logoi. La traduzione è resa con Ragionamenti doppi o Discorsi duplici. Vergato in dialetto dorico, riassume argomentazioni tipiche dell’antilogica di quella corrente filosofica che si scontrò con Socrate e Platone, in cui affermazione e negazione della medesima tesi si succedono l’una all’altra. Comincia con Bene e male e mostra, per esempio, come una certa attività sia un bene per i produttori e un male per i mercanti; prosegue con Bello e turpe e ricorda - scegliamo ancora un caso proposto - come sia «in Persia bello che gli uomini si trucchino come le donne e che si uniscano alla propria figlia, alla madre, alla sorella: cosa che in Grecia è turpe e contraria alle tradizioni».
Il testo rammenta inoltre che «è giusto mentire e ingannare» e spiega casi in cui sia necessario spergiurare; trattando di Verità e menzogna osserva come nel medesimo discorso esse convivano (e i giudici chiamati al giudizio «non sono presenti agli eventi»). Ci si accorge della sua attualità: «Sapienti e dementi affermano e compiono le stesse cose»; o ancora: «Alcuni oratori sostengono che le cariche pubbliche debbono essere date per sorteggio, ma questa loro opinione non è la migliore». Del resto, poco dopo l’autore nota che «vi sono nella città oppositori del popolo che se venissero favoriti» dal sorteggio distruggerebbero lo stesso popolo.
Ora Stefano Maso ha realizzato una nuova edizione critica, con traduzione italiana e commento, dei Dissoi logoi. Questo studioso, con Carlo Franco, curò nel 1995 per una (compianta) collana della Zanichelli una reinterpretazione dei testi di Protagora e Gorgia - due dei massimi esponenti sofisti - e, appunto, dei Dissoi logoi. Ora Maso, con il nuovo lavoro, si propone «di dare piena autonomia anche in Italia» a un’operina che era stata inserita in coda alla raccolta dei presocratici (nella celebre edizione di Hermann Diels e Walter Kranz) e che è stata oggetto di numerosi approfondimenti nell’ultimo secolo. Non che prima fosse sottovalutata: già nel 1570 l’umanista Henri Estienne, latinizzato in Henricus Stephanus, se n’era occupato e da allora le edizioni si sono moltiplicate. E questo anche se non è facile stabilire chi fosse l’autore e in quale precisa area vada situata.
Certo, i Dissoi logoi sono un inno al relativismo, un’esaltazione degli argomenti cari ai sofisti. Il loro testo, poi, ci arriva attraverso Sesto Empirico, uno dei massimi testimoni dello scetticismo antico, vissuto tra il II e il III secolo della nostra era. Basta aprire i Lineamenti Pirroniani per rendersi conto come il suo pensiero fosse vicino a quello dei Dissoi logoi. Il passo è ricordato nell’introduzione da Maso: «La potenza dello scetticismo consiste nel contrapporre ciò che percepiamo e ciò che pensiamo secondo tutte le modalità possibili, per cui, in seguito all’uguale forza dei fatti e delle ragioni contrapposte, arriviamo per prima cosa alla sospensione del giudizio, quindi all’imperturbabilità».
Un atteggiamento mentale consigliabile ai nostri giorni, tempo in cui le certezze e quelli che un tempo erano chiamati valori lasciano spazio all’obiezione e al dubbio, a volte al ridicolo. Quanto al discorso sulle cariche pubbliche scelte per sorteggio, è una citazione puramente casuale: non se ne adonti un eventuale promotore, non era nostra intenzione criticare le nuove prospettive politiche. Anche se un anonimo maestro di logica le ha sbugiardate da oltre due millenni.