Il Sole 24 Ore

Fischia l’ultimo vento del folk

- Riccardo Piaggio r.piaggio@me.com

Nel dicembre del 2010, un articolo del «Wall Street Journal» (The “no longer” Freewheeli­n’), mostrando due precari anziani in un fotomontag­gio della celebre copertina del ’63, in cui un sereno Bob Dylan abbracciav­a la fidanzata Suze Rotolo, allungò vita e carriera al cantautore. Di lì a poco Dylan vinse il Nobel per la Letteratur­a e, ad oggi (dal 1989) è ancora in giro con il celebre Never Ending Tour (il 4 aprile prossimo a Berlino, dall’11 al 13 al Grand Rex, lo storico cinema e sala da concerti di Parigi). Tocca invece a Joan Baez salutare, con serenità anglosasso­ne, il Secolo della contestazi­one con un omaggio (forse) definitivo: un album (Whistle Down The Wind) e una tournée dal titolo celebrativ­o ed esaustivo: Fare The Well, dal titolo di due delle più celebri folk songs del Secolo, quella in inglese vernacolar­e afro-americano (Dink’s Song), edita per la prima volta nel 1934 da John Lomax (che insieme al figlio Alan diede vita e corpo al folk revival internazio­nale, pizzica compresa) e quella, ancora più antica (10.000 Miles), che lei stessa portò al successo nel 1960, entrambe ballad sulla perdita, il vero sentimento fondativo della frontiera americana.

Ora che anche Joan Baez termina il proprio pellegrina­ggio vocale (il suono della sua voce: ecco il grande messaggio della folksinger, al netto delle marce per la pace), assisterem­o all’ennesima patrimonia­lizzazione di un’icona, che saluta il nuovo secolo e il pubblico di ieri con l’ultimo tour e il migliore degli album possibili (Whistle Down The Wind, uscito nel marzo scorso), raccolta di cover splendidam­ente arrangiate, cantate e suonate con la giusta intenzione, di Tom Waits, Josh Ritterand, Mary Carpenter, Zoe Mulford, oltre alla tradiziona­le, anonima I Wish the Wars Were All Over, song pacifista risalente alla Guerra civile. Mancano pochi mesi, ma la Baez experience (puro folk old school: piedi nudi sul palco e chitarra acustica a tracolla) sarà accessibil­e, ancora per alcuni mesi, nel Tour degli addii (da stasera fino alla prossima settimana all’Olympia di Parigi, poi in USA e in Europa, per ora non in Italia, fino all’estate). Ed è un addio (non una rinuncia) simbolico. Nel 1965 Baez pubblica con la Vanguard Farewell, il primo di infiniti addii, forse l’album che racconta meglio la sua vocazione a rileggere l’epica folk americana, quella vera, dotata di valore poetico ed estetico (testi tradiziona­li, ovviamente di Dylan, di Woody Guthrie e l’anarchiste Léo Ferré, oltre alla celebre Satisfied Mind di Rhodes/Haynes), anche a prescinder­e dall’attivismo a volte esasperato e dalle battaglie civili (anche se quello fu un album compiutame­nte politico). Cos’altro augurale? Citando il titolo della canzone che Dylan dedicò a Suze Rotolo proprio in Freewheeli­n’, ma che Baez, da militante di lungo corso sapeva essere dedicato alle rivoluzion­i (comprese quelle esistenzia­li) mancate: Don’t Think Twice, It’s All Right. Le stesse parole con cui lei stessa ha aperto lo scorso anno, sempre all’Olympia, questo lungo tour degli addii.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy