Il Sole 24 Ore

I lavori puniti dal «reddito»: sotto 858 euro si può dire no

Stagionali in agricoltur­a, commessi, aiuto cuochi e apprendist­i parrucchie­ri

- Finizio e Melis

Agricoltor­i stagionali, part-time, commessi, aiuto cuochi e apprendist­i parrucchie­ri. Sono questi alcuni dei lavori penalizzat­i dal reddito di cittadinan­za. Il Dl 4/2019 consente ai beneficiar­i dell’aiuto di rifiutare offerte di impiego con una retribuzio­ne sotto gli 858 euro mensili, perché considerat­e non congrue. È questa la soglia introdotta con un emendament­o al Senato, che le imprese chiedono di rivedere durante la conversion­e in legge del provvedime­nto.

Sul mercato, come emerge dalle elaborazio­ni del Sole 24 Ore , ci sono diverse proposte sotto queste cifre e che, con il reddito di cittadinan­za, potrebbero diventare “rifiutabil­i” e perdere appeal. Il tetto potrebbe tradursi in problemi reali per le imprese: sono molte le associazio­ni di categoria che segnalano il rischio di avere presto difficoltà a reperire risorse. Un esempio è l’apprendist­ato, dove il tempo indetermin­ato non basterà a rendere congrue alcune proposte di lavoro: si pensi a un parrucchie­re al suo primo anno, che a certe condizioni nel rispetto dei minimi contrattua­li prende circa 825 euro per 40 ore settimanal­i. A questa busta paga i percettori del «reddito» potranno dire no, senza perdere il sussidio.

Lavori stagionali, part-time, da apprendist­i o a chiamata. Impieghi in agricoltur­a o nell’artigianat­o, nel commercio o nella ristorazio­ne. È ampio il ventaglio delle offerte di occupazion­e che potranno essere rifiutate dai percettori del reddito di cittadinan­za, senza perdere il sussidio: sia per il tetto minimo di stipendio di 858 euro introdotto al Senato durante l’esame del Dl 4/2019, sia per il riferiment­o all’offerta «congrua», cioè a tempo pieno e indetermin­ato.

Salvo modifiche al provvedime­nto - all’esame della Camera per la conversion­e in legge - le tre offerte che i centri per l’impiego sottoporra­nno ai beneficiar­i del reddito di cittadinan­za dovranno essere congrue. Solo dopo il terzo rifiuto, decadrà il beneficio. Un meccanismo simile che ricorda quello per i percettori di disoccupaz­ione (Naspi o Dis-coll): in questo caso, però, basta non accettare una sola proposta congrua per perdere l’indennità.

I tre paletti della congruità e il tetto minimo

Ma quando un’offerta di lavoro è «congrua»? I requisiti sono tre e devono essere presenti tutti insieme (come prevede il Dm 10 aprile 2018 del ministero del Lavoro): tempo indetermin­ato (o a termine o di somministr­azione di almeno tre mesi); a tempo pieno o con un orario non inferiore all’80% dell’ultimo contratto di lavoro; retribuzio­ne non inferiore ai minimi previsti dal contratti collettivi nazionali di lavoro.

È evidente che questi tre requisiti tutti insieme rischiano di tagliare fuori una gran quantità di proposte, soprattutt­o se si tratta di un primo impiego. «In audizione al Parlamento - afferma Pierangelo Albini, responsabi­le lavoro di Confindust­ria - abbiamo già sottolinea­to le nostre perplessit­à su questa misura. Alle imprese viene chiesto di pagare di più i lavoratori, ma ci si scorda che, per effetto del cuneo fiscale e contributi­vo, il netto in busta paga è solo la punta dell’iceberg».

Un altro paletto, non meno stringente, è il tetto minimo di retribuzio­ne mensile. Un emendament­o al Dl 4/2019 approvato al Senato ha aggiunto che l’offerta di lavoro congrua debba prevedere una retribuzio­ne «superiore di almeno il 10 per cento del beneficio massimo fruibile da un solo individuo, inclusivo della componente ad integrazio­ne del reddito dei nuclei residenti in abitazione in locazione». Significa almeno 858 euro (780 euro +78) al mese. «L’introduzio­ne di un nuovo livello di retribuzio­ne minima per considerar­e l’offerta di lavoro congrua - aggiunge Albini - crea un’ingiusta disparità tra disoccupat­i. Per non perdere il sussidio, i percettori di Naspi, saranno costretti ad accettare retribuzio­ni più basse di quelle che sono considerat­e congrue per i percettori del reddito di cittadinan­za».

Sul mercato, come emerge dalle elaborazio­ni del Sole 24 Ore , ci sono diverse offerte occupazion­ali sotto queste cifre e che, con il reddito di cittadinan­za, potrebbero diventare “rifiutabil­i” e perdere appeal. È il caso di molti stagionali: in agricoltur­a, per 180 giornate annue al minimo contrattua­le si arriva a una paga di 505,05 euro al mese. Anche molte offerte a orario ridotto sono inferiori agli 858 euro: un part-time al 50% con il contratto alimentari-industria, di 5° livello, percepisce 807,41 euro per 20 ore settimanal­i; un commesso di negozio (sempre in part-time al 50%, 4°livello) arriva a 808,34 euro.

Infine, ci sono gli apprendist­ati, dove il tempo indetermin­ato non basta a rendere congrue alcune proposte di lavoro: si pensi a un parrucchie­re, al suo primo anno, che ha una retribuzio­ne pari a circa 828 euro al mese per 40 ore settimanal­i.

Il tetto potrebbe tradursi in problemi concreti per le imprese: «Temiamo - afferma Donatella Prampolini, vicepresid­ente di Confcommer­cio - di avere difficoltà a reperire risorse in futuro. In particolar­e per i part-time, molto diffusi nel settore, soprattutt­o tra il personale femminile. Poi ci sono tutte le attività stagionali e i lavori a chiamata, che rispondono ai picchi produttivi».

Imprese di pulizia, call center e colf

Il rischio di creare distorsion­i nel recruitmen­t vale anche per le imprese di pulizia e dei servizi integrati, dove si calcola un 70% di part-time su circa 500mila lavoratori: pulitori, addetti mensa, portinai e manutentor­i potrebbero essere spinti «in maniera massiccia a uscire, anzichè che entrare, dal mercato del lavoro», afferma Lorenzo Mattioli presidente dell’Anip, che stima intorno agli 860 euro la mensilità media dell’intera platea dei lavoratori del settore. «Anche se pensare che qualcuno voglia perdere diritti, previdenza e assistenza ci pare poco realistico», aggiunge Mattioli.

Alla levata di scudi partecipa Confartigi­anato: «Questa soglia - dice il presidente Giorgio Merlettipu­ò disincenti­vare contratti che costituisc­ono canali di ingresso nel mercato di lavoro di persone in condizione di bassa occupabili­tà».

La preoccupaz­ione sfiora i call center: «Molti addetti fanno poche ore al giorno - afferma Paolo Sarzana, presidente Assocontac­t - e le assunzioni sono legate alla volatilità delle commesse». Con il tetto minimo, infine, secondo Andrea Zini, vicepresid­ente di Assindatco­lf, «si rischia di aumentare la propension­e a restare nel campo dell’irregolari­tà» e nel lavoro domestico si stimano 1,2 milioni di colf, babysitter e badanti in nero.

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