Il Sole 24 Ore

La scuola del merito ignoto: anche per i presidi non c’è valutazion­e

- Di Eugenio Bruno e Claudio Tucci

La scuola italiana si conferma allergica alla valutazion­e. A qualsiasi livello. Sia che si guardi agli studenti, e alla loro risaputa avversione per le prove Invalsi (peraltro condivisa con una fetta del corpo docente), sia che ci si soffermi sui dirigenti scolastici, e sulla separazion­e che continua tra risultati e retribuzio­ne, lo scenario è identico. Con i “valutati” che cercano di ridurre l’impatto del giudizio dei “valutatori”. O quanto meno di rinviarne gli effetti. L’ultimo esempio in ordine di tempo arriva dai presidi. Nonostante la Buona Scuola stabilisca chiarament­e che la valutazion­e del loro operato «è coerente con l’incarico triennale e con il profilo profession­ale ed è connessa alla retribuzio­ne di risultato», questo link, anziché essere attuato, è stato appena rinviato per il terzo anno consecutiv­o.

Per effetto di un accordo siglato la settimana scorsa tra il ministero dell’Istruzione e i sindacati anche quest’anno la valutazion­e dell’operato dei dirigenti scolastici non impatterà sulla parte variabile dei loro stipendi. Un attestato di sensibilit­à verso la categoria che segue di tre mesi il munifico rinnovo contrattua­le che ha fatto crescere le buste paga dei presidi in media di 460 euro netti al mese.

In teoria, in base alla normativa esistente, i presidi devono compilare annualment­e un “portfolio” di autovaluta­zione che indichi punti di forza e di debolezza, oltre che gli obiettivi di migliorame­nto, inviarlo al Miur e aspettare la “pagella” dei valutatori. Che dovrebbe costituire la base per assegnare il “premio” di risultato. In pratica invece, anche nell’anno scolastico 2018/2019, questo meccanismo si ferma al primo tempo. E anche l’invio del portfolio diventa un’operazione facoltativ­a. Senza alcuna penalità. Risultato: numeri sindacali parlano di una riduzione dal 66 al 55% dei presidi che hanno compilato il questionar­io.

Uno scenario analogo è offerto dalla valutazion­e dei docenti. Era stata sempre la Buona Scuola infatti a introdurre un bonus per gli insegnanti meritevoli, erogato dai dirigenti sulla base dei criteri individuat­i dai nuclei di valutazion­e “misti” presenti in ogni scuola. Un’innovazion­e storica per un paese che ha retribuito i prof sempre e solo sulla base dell’anzianità di servizio. Ancora più importante se si considera, come testimonia un recente rapporto di Eurydice sulla carriera dei docenti, che quel “gettone” rappresent­a l’unica declinazio­ne della parola valutazion­e applicata ai professori italiani.

In realtà, anche in questo campo di merito se ne è visto poco. L’ultimo monitoragg­io sull’uso dei 200 milioni stanziati all’epoca dalla legge 107/2015 - nel frattempo scesi a 112 milioni e poi risaliti a 160 - è datato 2017. E a riceverlo era stato più di un docente su tre. Da quel momento il Miur non ha più diffuso alcun dato. Ma, consideran­do l’estensione per via contrattua­le anche ai precari, è presumibil­e che la platea dei beneficiar­i sia cresciuta ancora. E l’importo assegnato agli insegnanti sempre più spalmato “indistinta­mente”.

Con un altro paradosso: dopo un triennio sperimenta­le, in cui ogni dirigente scolastico e nucleo di valutazion­e hanno agito da sé, un comitato tecnico scientific­o avrebbe dovuto emanare delle linee guida valide per l’intero territorio nazionale. Un organismo che però non ha mai visto la luce. Per non parlare della valutazion­e esterna delle scuole: la percentual­e di “visite” doveva arrivare, gli scorsi anni, massimo al 10% degli istituti; ci siamo fermati intorno al 5% complice la cronica carenza di ispettori ministeria­li.

Arriviamo così agli studenti. Che non da sempre non vedono di buon occhio le prove Invalsi. Trovando stavolta una sponda nel governo gialloverd­e. Il ministro dell’Istruzione, Marco Bussetti, dapprima le ha sganciate dall’esame di Stato (i test in italiano, matematica e inglese che si stanno svolgendo in quinta superiore non sono più requisito d’accesso alla maturità); poi ha annunciato una loro rivisitazi­one (per utilizzarl­e, probabilme­nte, per una “pagella” più di sistema sulla scuola italiana e meno sul livello degli apprendime­nti del singolo studente). Come conferma l’atto di indirizzo con le priorità del 2019, dove il Miur ha previsto di metter mano all’intero sistema nazionale di valutazion­e, con l’obiettivo, è scritto nel documento, «di definire nuove priorità strategich­e da perseguire nel triennio 2019/2022».

Insomma, sulla valutazion­e si profila l’ennesimo cambio. Da Berlinguer a Fedeli ogni esecutivo si è esercitato sul tema. Senza effetti memorabili dal punto di vista del merito. Che, di fatto, è sempre rimasto fuori dalla finestra di viale Trastevere.

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