Il Sole 24 Ore

Importi super, deficit e Pil: sfida impossibil­e sulle clausole

- Gianni Trovati

Questa volta sarà quasi impossibil­e. Da anni le clausole Iva sono nella finanza pubblica una promessa di correzione che si sa di non mantenere. Ma questa volta, appunto, la via d’uscita appare praticamen­te chiusa. Da tre ostacoli.

I valori messi a bilancio per 2020 e 2021, rispettiva­mente 23,1 e 28,8 miliardi, superano di slancio tutte le edizioni passate delle clausole. Questi aumenti, e qui arriva il secondo problema, non servono più a fingere un percorso verso il pareggio, come accaduto finora, ma a evitare che il deficit si impenni fin sopra quota 3 per cento. E il deficit, terzo problema, è già spinto in alto da una congiuntur­a che promette di fermare la dinamica del Pil 2019 molto sotto sia all’1% messo in programma dal governo sia allo 0,6% posto a base del quadro tendenzial­e.

Con questi presuppost­i, è impossibil­e cancellare le clausole con il disavanzo, che negli ultimi tre anni ha finanziato il 75% dello sforzo anti-Iva (52 miliardi su 71). A meno di non tentare la strada di un “patto” con Bruxelles, in uno scambio tra una dote di flessibili­tà anti-aumenti e l’impegno a non replicare clausole nel futuro: lo ha suggerito il centro studi Confindust­ria, chiedendo come l’Ufficio parlamenta­re di bilancio e un numero crescente di economisti un’operazione-verità per cancellare uno strumento che da garanzia di tenuta dei conti si è trasformat­o in uno dei principali fattori di incertezza sulle prospettiv­e fiscali del Paese. Anche perché, con una manovra 2020 che tra Iva e spese obbligator­ie già si avvicina ai 30 miliardi di partenza, trovare vie alternativ­e non è semplice.

Il momento della verità sarà la manovra d’autunno. Ma il calendario è fitto di appuntamen­ti precedenti. Entro il 10 aprile un Def anche in formato ultralegge­ro dovrà mettere in tabella le ricadute prodotte dalla frenata dell’economia sull’indebitame­nto netto e soprattutt­o sul debito, che già l’anno scorso è tornato a salire fino alla quota record del 132,1% e va tenuto a bada per i mercati prima ancora che per la commission­e Ue.

Anche a Bruxelles, in ogni caso, la situazione è solo sospesa prima delle elezioni del 26 maggio. E già dal mese successivo si rischia di dover mettere mano a una correzione in corsa dei conti. La legge di bilancio ne incorpora una parte, con i due miliardi congelati che possono trasformar­si in un taglio vero e proprio. Ma due miliardi sono poco più di un decimale di Pil. Rischia di non bastare.

Numeri e scenari hanno iniziato da settimane a girare sui tavoli della politica e dei tecnici dell’Economia, alimentand­o anche prima che scoppiasse la grana Tav l’ipotesi di un Def limitato al quadro tendenzial­e. L’anno scorso, ad aprile, un governo Gentiloni in carica solo per gli “affari correnti” si limitò appunto al tendenzial­e, cioè alla radiografi­a del quadro macroecono­mico e dei saldi di finanza pubblica. La stessa mossa oggi fotografer­ebbe le prospettiv­e di deficit e debito in rialzo quest’anno, ma tenuti a freno dalle maxiclauso­le nei prossimi due. Rimandando all’autunno il problema.

Ma le tentazioni di rinvio non hanno certo fermato i dossier tecnici al ministero dell’Economia, in un lavoro già avviato lo scorso anno prima che i “no” gialloverd­i fermassero sul nascere le analisi avviate su impulso del ministro Tria. Le ipotesi tecniche sono molteplici, lavorano su tutta l’architettu­ra delle aliquote e si incrociano con l’esame costante delle tax expenditur­es per non caricare davvero sull’Iva tutto il peso delle clausole. Ma il problema è la politica, che finora ha respinto al mittente tutte le fatiche spese dai tecnici sia sull’imposta sia sulla potatura di deduzioni e detrazioni, l’altro obiettivo perennemen­te mancato dalle manovre degli ultimi anni.

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