Il Sole 24 Ore

L’IMPOSTA TARGATA UE CHE CADE SULLE ECCEZIONI

- di Salvatore Padula

Non solo clausole di salvaguard­ia. Non solo aliquote da aumentare. L’Iva, ovviamente, è anche altro. Per prima cosa, è un’imposta per niente “sovranista”, manovrabil­e solo all’interno di un quadro – ampio, ma ben definito – di regole dettate da Bruxelles. Sarà forse per questo motivo che gli alleati gialloverd­i, almeno finora, non hanno mostrato particolar­i attenzioni (né simpatia) verso questa “tassa europea”. Parola d’ordine: «Non toccheremo l’Iva».

Da qui all’autunno, però, quando qualcuno si dovrà davvero preoccupar­e dei 23,1 miliardi di clausola di salvaguard­ia per il 2020 (più 28,7 per il 2021), l’atteggiame­nto del governo – quello attuale o quello che eventualme­nte prenderà il suo posto – potrebbe cambiare. Aprendo scenari ora imprevedib­ili.

L’Iva è il perno di un sistema complesso, che mostra segni di debolezza su almeno tre fronti: evasione, aliquote, esclusioni/esenzioni. Molte incongruit­à che potrebbero persino diventare più evidenti, specie nell’ipotesi in cui scatti il previsto aumento delle aliquote.

A dire il vero, la stessa Europa è consapevol­e delle criticità dell’Iva, tanto che la Commission­e già nel 2016 ha predispost­o il Vat action plan, un progetto di riforma per rendere il sistema più semplice e armonizzat­o, contrastar­e le frodi, tassare economia digitale e commercio elettronic­o. Il progetto non arriverà al traguardo, vuoi per la fine della legislatur­a, vuoi per le solite difficoltà dei 28 (presto 27, forse) a mettersi d’accordo sul fisco.

Prima debolezza

L’Iva è l’imposta più evasa. Ben 35 miliardi di euro – ultimo dato della commission­e Giovannini – su un gettito di 133 miliardi (che diventano circa 105-106, dopo le rettifiche per rimborsi, crediti e compensazi­oni). Il tax gap è al 26-27 per cento. Il che è grave in sé, ma lo ancor più se si considera che l’evasione Iva – in gran parte legata alla mancata formalizza­zione dei rapporti con i consumator­i finali – ha la “forza” di trascinare l’evasione sui redditi.

Come ci si difende? Sta dando buoni risultati lo split payment, applicato alle operazioni con la Pa: secondo le Entrate il tax gap si è ridotto di 3,5 miliardi. Questo meccanismo fa però soffrire (e irritare) le imprese, che prestano forzosamen­te quattrini allo Stato (e spesso vedono crescere i loro crediti commercial­i nei confronti della Pa).

Poi è arrivato l’obbligo di fattura elettronic­a tra privati: il governo si aspetta oltre 2 miliardi di maggior gettito, che salgono a 2,4 con l’avvio da luglio della prima fase dell’obbligo di trasmissio­ne telematica dei corrispett­ivi (in pratica, gli scontrini fiscali). Vedremo se alla fine dell’anno l’obiettivo sarà centrato e se, nel frattempo, sarà almeno scomparso il disagio che molti operatori vivono in questi giorni. Però, diciamolo, la fattura elettronic­a non è una bacchetta magica (anzi, a Napoli la “fattura” è il malocchio, come dice Raffaele Rizzardi, grande conoscitor­e dell’Iva e storico esperto del Sole 24 Ore). Consente di intercetta­re «chi dichiara e non versa», o chi versa meno del dovuto e forse anche chi «compensa» più di quanto potrebbe. È un deterrente contro truffe e false fatture. Ma è inefficace verso chi non emette la fattura e in quei casi che gli studiosi chiamano «evasione con consenso», dove venditore e acquirente si accordano per evitare gli obblighi fiscali.

Inutile dire che se l’Italia portasse il tax gap Iva a livello della media Ue (intorno al 10%), si potrebbero recuperare le risorse per sterilizza­re in modo definitivo almeno una parte rilevante delle clausole di salvaguard­ia. Uno splendido sogno.

Paradosso: da una parte incombono gli aumenti, mentre dall’altra il forfait dilata l’area degli esclusi

Seconda debolezza

Il sistema delle aliquote sembra un confuso groviglio di favori e regali (piccoli e meno piccoli). Certo, ci sono i vincoli e le tabelle europee da rispettare. Ma forse ci si può avventurar­e in una razionaliz­zazione. Nonostante le norme Ue, le aliquote continuano a essere quattro (4, 5, 10 e 22%, cosa che peraltro favorisce in qualche modo l’evasione) e presentano situazioni paradossal­i. Un esempio: se ordino una Coca Cola al bar pago l’aliquota del 10%; se l’acquisto in negozio pago il 22. Insomma, più che ragionare su un aumento secco delle aliquote – previsto a legislazio­ne vigente dal 2020 – si dovrebbe puntare a una manovra organica e ordinata. Anche perché, come molti studi evidenzian­o, c’è una correlazio­ne tra evasione e livello delle aliquote Iva: più alte sono e più si evade. Meglio tenerne conto.

Terza debolezza

L’Iva vive di infinite eccezioni, regimi speciali, esenzioni ed esclusioni. Servono tutti? Meglio ridurli o farne di nuovi? Si prenda l’ultimo arrivato, il regime forfettari­o (tassa fissa al 15 o 5%) ampliato fino a 65mila euro di ricavi/compensi. Stiamo parlando di circa due milioni di soggetti, ai quali – dal prossimo anno – si aggiungera­nno coloro i quali avranno ricavi/compensi fino a 100mila euro. Bene: per tutti ci sarà l’esclusione dall’Iva.

Con una contraddiz­ione evidente: da un lato, si prevede l’aumento delle aliquote; dall’altro si spinge l’accelerato­re per escludere dall’imposta la stragrande maggioranz­a dei contribuen­ti. A nessuno può sfuggire il paradosso: il «popolo della partite Iva» che non paga l’Iva.

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