Il Sole 24 Ore

Profession­e, deducibile il canone pagato alla società della moglie

Bocciata la contestazi­one: il risparmio fiscale è lecito e non c’è prova di raggiri Per il giudice è irrilevant­e che il preliminar­e sia stato firmato dal notaio

- Dario Deotto

Non costituisc­e abuso del diritto la deduzione, da parte di un notaio, dei canoni di locazione relativi a un immobile di proprietà di una società di cui risulta socia al 99% la moglie dello stesso notaio. Lo stabilisce, con sentenza 185/5/2019, depositata l’11 febbraio scorso, la Ctr del Piemonte (presidente Perelli, relatore Rinaldi). In senso sempre favorevole allo stesso contribuen­te si era già espressa la Ctp di Alessandri­a 386/1/2016, depositata il 14 novembre 2016.

La vicenda crea un po’ di sconforto perché fa comprender­e che gli uffici periferici dell’Agenzia continuano a coltivare del contenzios­o inutile e completame­nte fuori luogo, magari confidando in qualche “infortunio” della giustizia tributaria. La tesi fatta propria dall’ufficio – nell’atto di appello – è che il notaio «ha avuto il vantaggio fiscale di poter dedurre i costi relativi alla locazione, vantaggio che non avrebbe avuto se avesse acquistato personalme­nte l’immobile». Questo perché il preliminar­e di acquisto era stato sottoscrit­to dallo stesso notaio, mentre poi l’acquisto definitivo era stato stipulato dalla società partecipat­a al 99% dalla moglie che poi l’aveva locato – come riportato – al notaio. Sempre secondo l’ufficio, vi sarebbe stata «una artificios­a costituzio­ne di società».

Da tali argomentaz­ioni si comprende quanto ancora sia difficile fare capire che non è il vantaggio fiscale che “fa l’abuso”, ma il vantaggio fiscale indebito. E poi, soprattutt­o, non si comprende ancora che nell’abuso del diritto tutte le operazioni poste in essere sono assolutame­nte valide, sia nei confronti delle parti che dei terzi: è solamente il vantaggio (fiscale) che risulta illegittim­o. Nell’abuso non ci sono artifizi, dissimulaz­ioni, non c’è alcuna manipolazi­one della realtà: vi è perfetta coincidenz­a tra ciò che le parti dichiarano di volere e ciò che realmente vogliono. Le manipolazi­oni, le finzioni, le dissimulaz­ioni appartengo­no all’evasione, per cui se l’ufficio ritiene che vi siano stati degli artifizi, in sostanza che la società del caso in questione sia interposta oppure che il contratto posto in essere sia “finto”, deve provarlo, anche attraverso presunzion­i semplici, purché gravi, precise e concordant­i. Ma in queste situazioni – lo si ripete - l’abuso del diritto non c’entra proprio nulla: nell’abuso non c’è alcuna divergenza tra apparenza e realtà.

Così che la Ctr del Piemonte ha dovuto sempliceme­nte rilevare che l’ufficio non ha provato l’interposiz­ione della società partecipat­a dalla moglie del notaio. Secondo la Ctr, il comportame­nto del notaio va ascritto al legittimo risparmio d’imposta e correttame­nte viene stabilito che, di fronte alle possibili scelte offerte dall’ordinament­o, il contribuen­te non deve certamente scegliere la via fiscalment­e più onerosa.

Unico neo della sentenza il fatto che vengono fatte aleggiare le valide ragioni economiche. Tuttavia, se il contribuen­te sceglie un determinat­o negozio legittimo non c’è alcuna valida ragione economica che tenga. La mistificat­oria pretesa di tassare la vicenda economica – da più di qualche parte ancora avanzata - non può portare a disconosce­re una forma giuridica legittima rispetto a un’altra altrettant­o legittima, solo perché la prima risulta meno onerosa fiscalment­e.

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