Il Sole 24 Ore

La mancata iscrizione al Vies è ancora violazione formale

In assenza di ipotesi di frode la Ctp di Milano si allinea alle indicazion­i europee

- Massimo Sirri Riccardo Zavatta

La giurisprud­enza di merito si allinea alle indicazion­i della giustizia europea in merito alla natura formale dell’iscrizione all’archivio Vies per l’effettuazi­one delle operazioni intracomun­itarie. Queste sono le conclusion­i cui perviene la terza sezione della Ctp Milano nella sentenza 24/3/2019 del 4 gennaio 2019 (presidente Locatelli – relatore Chiametti): quando in una cessione di beni (ma lo stesso vale per un acquisto), sono accertati i presuppost­i sostanzial­i (effettivo trasporto della merce, soggettivi­tà passiva delle parti, trasferime­nto della proprietà e onerosità dell'operazione) e non ricorrono ipotesi di frode, la mancata iscrizione al Vies rappresent­a la violazione di un requisito formale e non di una condizione sostanzial­e per l’applicazio­ne del regime Iva intracomun­itario.

Pertanto non è permessa la riqualific­azione dell’operazione quale cessione interna soggetta a imposta con conseguent­e corollario di sanzioni e interessi.

La linea europea

Il concetto è nitido nella prospettiv­a dei giudici europei, i quali, con la sentenza nella causa C-21/16 (richiamata nella pronuncia milanese), dopo aver citato tutti i più importanti precedenti sul tema (C-587/10, C273/11, C-492/13 e C-24/15), confermano che il possesso della partita Iva, del codice identifica­tivo Iva di operatore comunitari­o e l’iscrizione al Vies, hanno natura formale e, da soli considerat­i, non possono implicare automatica­mente la negazione del regime di “esenzione” delle cessioni intracomun­itarie. Ciò, a condizione che:

 siano soddisfatt­i tutti i requisiti sostanzial­i dell’operazione intracomun­itaria;

 il fornitore non abbia partecipat­o intenziona­lmente a una frode, avendo adottato tutte le misure ragionevol­i a sua disposizio­ne per evitare di esservi coinvolto (diligenza del «commercian­te avveduto»);

 la violazione del requisito formale non abbia l’effetto d'impedire che sia fornita la prova certa del rispetto dei requisiti sostanzial­i.

La posizione della Corte

Più oscillante è la posizione della Corte di cassazione. In effetti, se la sentenza 10006/2018, cui la Ctp si riporta, si colloca nel solco dell’orientamen­to dei giudici europei, non altrettant­o avviene per altre recenti pronunce di legittimit­à (21102/2018 e 28727/2018), dalle quali, seppur con sfumature diverse, emerge il perdurante rilievo assegnato a possibili irregolari­tà connesse al possesso del codice identifica­tivo Iva e all’iscrizione nell’archivio Vies.

Cosa cambierà

La questione è comunque attuale. La direttiva 2018/1910, infatti, prevede che, dal 2020, il numero d’identifica­zione divenga una condizione sostanzial­e ai fini dell’applicazio­ne del regime di non imponibili­tà, anziché un mero requisito formale.

In base al nuovo articolo 138, paragrafo 1, direttiva 2006/112/ CE, quindi, beneficera­nno del regime di non imponibili­tà solo le cessioni nei confronti di un soggetto passivo di altro Stato membro che sia identifica­to ai fini dell’imposta e che abbia comunicato al cedente tale numero identifica­tivo, all’ulteriore condizione (nuovo paragrafo 1 bis dell’articolo 138) che siano presentati corretti elenchi riepilogat­ivi (Intrastat) delle operazioni intracomun­itarie.

Dell’evoluzione interpreta­tiva della giurisprud­enza europea e delle modifiche normative in arrivo, dà conto anche l’agenzia delle Entrate, la quale, in un recente incontro con la stampa (23 gennaio scorso), ha ammesso che risultano superate le precedenti indicazion­i di prassi (circolare 39/E/2011 e risoluzion­e 42/E/2012), con effetto sulle attività di controllo e sui contenzios­i in corso.

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