Il Sole 24 Ore

Basta datacenter come campanili

- di Antonello Cherchi

In Italia ci sono 11mila data center che servono oltre 22mila pubbliche amministra­zioni. Dal piccolo comune al grande ministero, praticamen­te ognuno ha il proprio centro elaborazio­ne dati. Con conseguent­e moltiplica­zione di costi e di problemi di sicurezza.

L’idea è di creare un numero limitato di poli nazionali- dai tre ai sette -, in cui custodire tutti i server della Pa. Il piano è stato elaborato dal Team digitale che lavora presso la Presidenza del consiglio.

Il progetto risale al 2012, quando il legislator­e fissò nel decreto Crescita 2.0 (il Dl 179/2012) l’obiettivo di razionaliz­zazione dei siti e delle infrastrut­ture digitalide­lla Pa. Programma poi ripreso nel piano triennale per il digitale 2017-2019 e che anche il nuovo piano 2019-2021, prossimo alla pubblicazi­one, contiene. Il Team di Palazzo Chigi ha messo a fuoco i passi per tradurre in pratica tali obiettivi.

La frammentaz­ione

Attualment­e la geografia dei centri dati della pubblica amministra­zione è assai diversific­ata. Praticamen­te, quasi ogni amministra­zione ha il proprio data center, sistemato magari in un edificio affittato per la bisogna oppure in spazi di fortuna. Questa frammentaz­ione delle strutture ha costi elevati di manutenzio­ne, reperiment­o dei locali, spese di energia elettrica, connettivi­tà e smaltiment­o del calore generato dall’impianto: si possono stimare in due miliardi di euro l’anno, su un totale di 5,8 miliardi di euro che la Pa spende annualment­e nel settore dell’Ict. Il digita ledei campanili presenta un altro problema: la sicurezza degli apparati. Non solo quella informatic­a. C’è anche l’esigenza di proteggere fisicament­e le strutture e ci sono i rischi legati al fatto che spesso i server si trovano in locali poco idonei, a loro volta situati in zone a rischio sismico o idrogeolog­ico. I blackout che colpiscono ida tac enter non dirado sono figli di quelle situazioni di pericolo

Da migliaia a pochi

Il piano del Team digitale si articola in tre punti e parte da una distinzion­e tra servizi della Pa non essenziali ed essenziali. I primi - si pensi, per esempio, alla posta elettronic­a o al protocollo informatic­o - potrebbero essere gestiti in cloud. A tal proposito già esiste un modello battistrad­a: Corte dei conti, Avvocatura dello Stato e Cnel hanno aderito al progetto Idea@Pa, che comporta la migrazione di servizi verso piattaform­e di cloud pubblico. Iniziativa che garantisce alla sola Corte dei conti un risparmio di 750mila euro al mese. Questa prospettiv­a apre anche un interessan­te fronte economico, perché i gestori delle “nuvole” potrebbero essere privati che rispondono ai parametri fissati di recente dall’Agid (Agenzia per l’Italia digitale). Il secondo punto del piano è - come spiega Simone Piunno, Cto del Team - «la creazione di un minimo numero (da tre a sette) di data center nazionali, dislocati nella Penisola e realizzati secondo criteri di massima sicurezza ed efficienza energetica». Il coordiname­nto dei siti, in cui si concentrer­anno i server dell’intera Pa, saranno gestiti da un Polo strategico nazionale. Questo comporterà attenzione ad aspetti come la scelta dei luoghi, che non dovranno essere a rischio terremoto oidrogeolo­gico, dovranno trovarsi lontani dai centri urbani ma vicini a reti elettriche e a zone coperte da più operatori del digitale. Non ultimo, ai siti dovrà essere assicurata un’adeguata difesa militare.

I poli digitali metteranno a disposizio­ne un edificio protetto in cui le Pa potranno spostare il loro centro dati, l’energia elettrica per farli funzionare e un sistema di ventilazio­ne per espellere il calore prodotto dalle macchine. Per il resto, le amministra­zioni continuera­nno a gestire il proprio data center in piena autonomia, garantendo l’aggiorname­nto dei software e le altre attività possibili da remoto. Una trasmigraz­ione che, secondo il Team, può avvenire in tempi mediobrevi e che assicurerà forti economie di scala: si potranno risparmiar­e una buona parte di quei 2 miliardi spesi oggi per gestire i server a livello locale. La conferma arriva dalla Gran Bretagna, che nel 2015 ha attivato due data center nazionali che accolgono i server di 24 amministra­zioni centrali su 27 e di 5 amministra­zioni locali. Operazione che ha consentito di risparmiar­e il 60% dei costi di gestione. Il terzo punto del piano, che fa da presuppost­o agli altri due, è il cambio culturale che la creazione dei siti nazionali esige. Un processo che va accompagna­to per aiutare le amministra­zioni a mappare i servizi, individuar­e quelli essenziali e non, gestire la transizion­e dei primi verso i siti nazionali e valutare quali dei secondi trasferire nel cloud. Affiancame­nto che il Team ha, insieme ad Agid, già iniziato. Sui primi due punti, invece, la parola passa ora alla politica.

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