Il Sole 24 Ore

Gb: no a un’uscita no deal Vicina la richiesta di rinvio

- Dal nostro corrispond­ente BRUXELLES —Beda Romano

Il Parlamento inglese ha approvato una mozione che scarta la Brexit no deal, spianando la strada a una richiesta di proroga dell’articolo 50. La Ue: non basta dire no al no deal, serve un accordo. Londra intanto pensa a un piano B: senza intesa, dazi zero sull’82% dell’import Ue.

Dopo che Westminste­r ha bocciato martedì scorso per la seconda volta l’accordo di recesso per permettere un’uscita ordinata del Regno Unito dall’Unione il prossimo 29 marzo, le opzioni sul tavolo sono ormai pochissime. Il rischio di una hard Brexit è aumentato ulteriorme­nte in un contesto politico britannico terribilme­nte confuso, nonostante proprio ieri sera lo stesso Parlamento britannico abbia votato contro una uscita senza accordo.

Sul voto di ieri sera una portavoce della Commission­e europea ha notato che non è sufficient­e escludere una uscita senza accordo: «È necessario approvare un accordo di recesso. Abbiamo approvato un accordo con la premier Theresa May e siamo pronti a firmarlo». In precedenza, parlando a Strasburgo, il vice presidente dell’esecutivo comunitari­o Frans Timmermans aveva ribadito che «non c’è accordo migliore di quello raggiunto con i chiariment­i successivi».

Secondo le informazio­ni raccolte a Bruxelles, diplomatic­i dei Ventisette hanno tenuto ieri una discussion­e nella quale hanno analizzato le varie opzioni sul tavolo. Ormai queste sono ridotte a due. Il Regno Unito può chiedere una proroga del periodo di due anni tra la data di notifica dell’uscita e l’uscita vera e propria, così come stabilito dall’articolo 50 dei Trattati. In assenza di una approvazio­ne all’ultimo minuto dell’accordo di recesso, l’altra opzione è nei fatti un hard Brexit il 29 marzo.

Sulla prima opzione, il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha sostenuto fin da martedì sera che la richiesta di una proroga da parte inglese deve avere una «giustifica­zione credibile». Nella discussion­e di ieri tra i diplomatic­i dei Ventisette sono emerse quattro possibili ragioni: più tempo per approvare l’accordo di recesso, nuove elezioni o un nuovo referendum in Gran Bretagna, ed eventualme­nte più tempo per prepararsi a una hard Brexit.

Mentre sulla durata della proroga e sulle sue condizioni non vi è intesa, i Ventisette sono d’accordo per evitare che il prolungame­nto dei tempi inquini l’organizzaz­ione delle elezioni europee del 23-26 maggio e l’inaugurazi­one del Parlamento, prevista il 2 luglio. La stessa richiesta di una proroga deve essere presentata dal governo britannico e deve essere approvata all’unanimità dai Ventisette.

L’altra opzione è che il Regno Unito non chieda una proroga, vuoi perché ha approvato l’accordo di recesso da qui al 29 marzo, vuoi perché ha deciso a sorpresa di ritirare la notifica di voler uscire dall’Unione, vuoi perché ha optato più o meno deliberata­mente per una hard Brexit.

Intanto sempre ieri Parlamento e Consiglio hanno approvato un nuovo regime più rigoroso di vigilanza finanziari­a delle clearing house, le contropart­i centrali che offrono servizi agli operatori europei in Paesi terzi, come prossimame­nte il Regno Unito. Le più grandi contropart­i potrebbero essere costrette a traslocare nell’Unione.

Intesa tra governi Ue e Parlamento sulle nuove regole di vigilanza delle clearing house dopo l’uscita del Regno Unito

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