A rischio gli incentivi a biomasse e biogas
La legge di stabilità 2016 prorogava questi interventi fino al 2021 In forse investimenti per 270 milioni l’anno per una ventina d’anni
Incentivi a rischio per le centrali rinnovabili alimentate con biomasse, legname, rifiuti, biogas e metano da fermentazione, biocarburanti. Bruxelles sospetta che possano configurarsi come aiuti di Stato. Si teme la perdita di investimenti per 270 milioni l’anno.
Le aziende delle fonti rinnovabili di energia sono in allarme. Mentre gli obiettivi ambientali del Piano energia e clima sembrano allontanarsi nella loro applicabilità, mentre il settore elettrico soffre la mancanza di centrali e teme l’avvicinarsi dio squilibri sulla rete che possano far impazzire il sistema, al tempo stesso potrebbero svanire gli incentivi su cui sono stati progettati a decine gli impianti a energie pulite, soprattutto quelli che usano legna, rifiuti, metano da fermentazione. A rischio una quindicina di impianti di dimensioni maggiori, come le centrali termiche che per climatizzare interi quartieri delle città usano scarti di legname o combustibili di alta qualità ricavati dai rifiuti.
Per chi ama i numeri, ci sono stime di investimenti in forse per 270 milioni di euro l’anno per una ventina d’anni. Ma sono in allarme anche le piccole centrali idroelettriche oppure i progetti di geotermia a bassa entalpia, cioè le microcentrali che usano il calore termale.
Questo succede per un pasticcio con Bruxelles: quegli incentivi, teme la Commissione Ue, potrebbero configurarsi come i vietatissimi aiuti di Stato che distorcono la competizione ad armi pari.
In breve. La legge di stabilità 2016 prorogava questi incentivi fino al 2021. La Commissione Ue poche settimane fa con una lettera ha chiesto all’Italia (Elea), La Spezia (Elettrogas), Pugliano Salerno (Elettrogas). Le centrali alimentate con gli scarti del legname come quelle do Sustinente nel Mantovano (gruppo Saviola) e le centrali termiche di teleriscaldamento a legna delle città di Dobbiaco San Candido (Fti), Tirano in Valtellina (Tcvvv) e Sellero in Valcamonica (Engie).
Hanno sollecitato interventi le diverse associazioni di settore, come Elettricità Futura (l’associazione confindustriale delle aziende elettriche), l’Anev (eolico) e il Coordinamento Free (produttori di energie rinnovabili). In una lettera congiunta, chiedono l’emanazione dei decreti salva-rinnovabili (che nel settore vengono chiamati Fer1 e Fer2) «per permettere al settore elettrico di riprendere finalmente a investire, dopo diversi anni di rallentamento, rinviando eventualmente al dm Fer2 le questioni irrisolte». Protestano i Comuni aderenti all’unione Uncem, che sentono traballare i progetti di biomasse e la geotermia, così importante in Toscana e nel Lazio.
Il mondo della politica è stretto fra più spinte contraddittorie. Nell’imminenza delle elezioni europee, molti candidati di importanza locale si fanno vedere sulle barricate virtuali dei comitati nimby, i quali si oppongono contro qualsiasi impianto alimentato da fonti rinnovabili. Esemplari i casi della geotermia e del biometano, una risorsa importantissima su investono colossi come la Snam.
Dice il sottosegretario allo Sviluppo economico Davide Crippa che, dopo il decreto Fer1, «è di prossima emanazione il decreto sulle rinnovabili Fer2 che introdurrà una disciplina più organica sulla geotermia, attraverso un meccanismo incentivante che garantirà un miglioramento dal punto di vista ambientale ed energetico. L’obiettivo è quello di andare incontro alle preoccupazioni provenienti dai sindaci e dai comitati di cittadini».