Il Sole 24 Ore

TUTTE LE AMBIGUITÀ DEL FEDERALISM­O DIFFERENZI­ATO

- Di Enrico De Mita

Il tema delle Regioni è uno dei più tormentati della Costituzio­ne italiana. Le Regioni sono nate “contro natura”. Negli ordinament­i federali le Regioni sono nate prima degli Stati e si sono federate per far fronte ai bisogni comuni (Stati Uniti, Germania). In Italia è lo Stato unitario che ha dato vita alle Regioni per cui è sempre aperto il discorso sui poteri da ripartire. Aveva ragione Massimo Severo Giannini, quando diceva che le Regioni non sarebbero riuscite se i partiti non avessero distinto la funzione dello Stato da quella delle Regioni e la politica economica non avesse avuto soltanto una guida nazionale.

L’idea regionalis­tica è venuta assumendo nei decenni valenze diverse che dipendevan­o dagli interessi dei partiti: negli anni Sessanta è stata unità amministra­tiva e funzionale di pianificaz­ione; negli anni Settanta arena della protesta della periferia contro i trend di standardiz­zazione culturale del centro; negli anni Ottanta forma di decentrame­nto degli Stati del benessere con la crisi dell’Europa. Lasciamo stare le idee che furono poste alla base del referendum del 2017. La risposta al tema del federalism­o non è solo tecnica, ma prima di tutto politica. Non sappiamo quale sarà l’assetto politico; non si sa che tipo di Stato avremo. Si parla di seconda e di terza Repubblica senza che nessuna ne abbia delineato i contorni.

Ma veniamo al punto in discussion­e. È nato con la riforma del 2001 un altro elemento che complica ancora di più l’assetto regionale. L’articolo 116 della Costituzio­ne, dedicato alle Regioni a Statuto speciale, indica anche come «ulteriori forme di autonomia, che possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessat­a, sentiti gli enti locali, nel rispetto dell’articolo 119. La legge è approvata con maggioranz­a assoluta dei componenti sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessat­a».

Questa novità nasce da un semplice accordo fra partiti e governo. Si propone di trasferire funzioni alle Regioni. Viene messa in discussion­e l’unità del Paese che non si risolve nella somma delle autonomie, ma il quadro entro il quale si collocano. C’è dunque una esigenza di tutela della unità economica e sociale del Paese e dei diritti civili e sociali delle persone che si colloca su un piano paritario rispetto a quello sulle autonomie, nel rispetto del principio di sussidiari­età e secondo procedure che evitino arbitri del governo centrale e rendano gli enti locali protagonis­ti della legislazio­ne che limita i loro poteri in funzione di un interesse nazionale.

Il federalism­o differenzi­ato, previsto dall’articolo 116 è possibile dando attenzione a federalism­o disegnato dall’articolo 119, che finora è rimasto lettera morta. L’intesa fra Stato e Regioni è possibile purché si chieda al Parlamento di non spogliarsi del potere legislativ­o, mentre il testo di intesa non sarebbe emendabile dalle Camere che dovrebbero recepire i contenuti degli accordi. Oggi, per fortuna, la competenza a emendare è sostanzial­mente sostenuta dai presidenti delle due Camere da insigni giuristi e per quello che si sa dal presidente della Repubblica.

È cominciata la rincorsa delle Regioni alla autonomia differenzi­ata. I presidenti di quasi tutte le Regioni hanno dato mandato ai propri presidenti di attivare un negoziato con il governo. I governator­i del Nord hanno dichiarato che le intese con lo Stato sarebbero una opportunit­à per tutti gli italiani. Con tanti saluti all’unità d’Italia e con le difficoltà che nascerebbe­ro fra l’Europa e le Regioni italiane. Il concetto di autonomia differenzi­ata è culturalme­nte ambiguo. Avremmo tre tipi di autonomia (ordinaria, speciale e autonoma differenzi­ata) che creerebber­o un ordinament­o confuso.

Non è stato avviato alcun procedimen­to legislativ­o, ma con una soluzione impropria alla fine della legislatur­a, il governo Gentiloni ha sottoscrit­to con Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna “un preliminar­e” nel quale è detto che saranno le modalità relative previste dall’articolo 8 comma 3, norma relativa alle intese tra lo Stato e le confession­i religiose diverse da quelle cattoliche e che è rapporto tra ordinament­i distinti, molto simile a quello che sussiste nelle relazioni internazio­nali.

Che bisogno c’era di questa confusione fra istituzion­i diverse quando il Parlamento, che può approvare l’intero testo di legge, potrebbe anche occuparsi degli emendament­i della legge stessa?

Il dibattito. Sul Sole 24 Ore del 12 marzo un’analisi di Andrea Montanino, Livio Romano e Fabrizio Traù (Centro studi Confindust­ria) ha aperto il dibattito sul tema della produttivi­tà in Italia.

 ??  ?? Guido Carli.Nel 1991, da ministro del Tesoro del settimo governo Andreotti, ammoniva sul rischio che “lacci e lacciuoli”, se non fossero stati recisi, avrebbero continuato a deprimere le potenziali­tà di un’economia essenzialm­ente di trasformaz­ione, come quella italiana
Guido Carli.Nel 1991, da ministro del Tesoro del settimo governo Andreotti, ammoniva sul rischio che “lacci e lacciuoli”, se non fossero stati recisi, avrebbero continuato a deprimere le potenziali­tà di un’economia essenzialm­ente di trasformaz­ione, come quella italiana

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