Il Parlamento boccia il no deal, più vicino un rinvio di Brexit
Oggi il voto sulla proroga dell’Articolo 50. May vuole riproporre l’intesa con la Ue Senza intesa Londra pronta ad applicare dazi zero sull’82% dell’import europeo
Il Parlamento di Westminster non vuole uscire dall’Unione Europea senza un accordo. A poco più di due settimane dalla data prevista di Brexit, l’opzione “no deal” è stata respinta ieri sera con 278 voti contrari e 321 voti a favore.
Il prossimo passo ora è la richiesta formale del Governo alla Ue di rinviare Brexit, che verrà decisa oggi, come ha confermato Theresa May dopo il voto.
Il testo della mozione originale del Governo era «il Parlamento non approva Brexit il 29 marzo senza un accordo di recesso o un’intesa quadro sui rapporti futuri, ma nota che no deal resta la conseguenza a meno che Gran Bretagna e Unione Europea ratifichino un’intesa».
Il testo voluto dalla May era quindi volutamente ambiguo per non escludere la possibilità di un “no deal” in futuro. Per questo il Parlamento è andato oltre: i deputati hanno votato a favore di un emendamento proposto da deputati conservatori e laburisti, che respinge tout court l’idea di un’uscita senza accordo, ora e in futuro, in qualsiasi circostanza.
L’emendamento è passato con 312 voti a favore e 308 contrari, costringendo a modificare la mozione principale. La May aveva imposto ai Tories di votare contro l’emendamento, che quindi è stato approvato grazie ad alcuni “ribelli” conservatori che hanno sfidato il diktat della premier. L’emendamento non è vincolante, ma invia un chiaro messaggio sulla determinazione del Parlamento di evitare un no deal.
Respinto con 374 voti contro e 164 voti a favore invece l’emendamento detto il “compromesso Malthouse” dal nome del deputato che lo ha proposto, che chiedeva un rinvio di Brexit fino al 22 maggio per dare tempo alle parti a prepararsi a un’uscita senza accordo e un lungo periodo di transizione per negoziare i rapporti futuri.
La May ieri in Parlamento aveva dichiarato che il compromesso Malthouse non è realistico perché «la Ue ha messo in chiaro che non ci può essere un periodo di transizione senza un accordo di recesso».
Il Cancelliere dello Scacchiere ha fatto di tutto per convincere i deputati a votare contro un “no deal”. Philip Hammond, nel presentare al Parlamento lo “Spring Statement” o finanziaria di primavera ha sottolineato i vantaggi di un’uscita ordinata dalla Ue, dichiarando che miliardi di sterline messi da parte per contenere i danni di “no deal” potrebbero essere utilizzati per tagli alle tasse o servizi pubblici. Introiti fiscali superiori alle previsioni gli concedono un forziere di 26,6 miliardi di sterline da utilizzare, 11 miliardi in più di quanto stimato nella Finanziaria dell’autunno scorso.
Invece uscire con un no deal creerebbe il caos a breve e medio termine e porterebbe a un calo dell’occupazione e dei salari e un aumento dei prezzi, ha avvertito il cancelliere: «Non è per questo che gli elettori hanno votato nel 2016».
Hammond si è anche schierato a favore di un accordo tra i partiti su Brexit. Abbiamo tutti, ha detto, «un dovere solenne nei prossimi giorni di mettere da parte le nostre divisioni e cercare un compromesso».
Le sue parole sono state interpretate come un messaggio alla May, che come ha indicato ieri sera dopo il voto in Parlamento sembra intenzionata a riproporre per la terza volta al Parlamento il suo accordo, anche se è già stato respinto due volte con un margine consistente, di 230 voti in gennaio e di 149 martedì sera.
Hammond invece sembra favorevole a quello che molti ritengono l’unico modo per risolvere l’impasse: verificare se c’è una maggioranza in Parlamento per una delle opzioni sul tavolo. La proposta è quella di tenere al più presto una serie di “votazioni indicative” su un secondo referendum, sulla possibilità di restare nell’Efta e sulla proposta laburista di restare in un’unione doganale con la Ue.
La Cbi, la Confindustria britannica, ha apprezzato lo «sforzo ammirevole per delineare una visione di lungo termine per l’economia britannica», del cancelliere, ma ha aspramente criticato il nuovo regime tariffario che entrerà in vigore in caso di “no deal”, che ha definito «una mazzata per l’economia e per il business».
In un documento di 1.500 pagine pubblicato ieri mattina senza prima consultare le imprese, il Governo ha annunciato che verranno imposti dazi su alcune importazioni dalla Ue. Un’auto europea, ad esempio, sarebbe soggetta a dazi del 10 per cento.
L’82% delle importazioni dalla Ue non sarà soggetta a dazi, contro il 100% attuale, mentre il 92% delle importazioni da Paesi extra-Ue sarebbe libera da dazi. Il nuovo regime punta quindi a privilegiare gli scambi con i Paesi fuori dalla Ue. Il documento stabilisce inoltre che per evitare problemi alla frontiera interna irlandese non ci saranno dazi o controlli, cosa che secondo le imprese porterebbe a «enormi distorsioni del mercato».
Oggi il Parlamento sarà invece chiamato a decidere se è opportuno chiedere un rinvio di Brexit. Si prevede che la maggioranza dei deputati voti a favore di un’estensione dei tempi, che il Governo dovrà chiedere a Bruxelles e che i 27 dovranno autorizzare.
La Ue sembra diposta a concedere tempi supplementari a Londra, ma ha messo in chiaro che deve esserci un obiettivo chiaro. Guy Verhofstadt, il responsabile di Brexit dell’Europarlamento, ha detto ieri di essere «contrario a qualsiasi estensione che non sia basata su un’intenzione chiara della Camera dei Comuni per qualcosa».