Il Sole 24 Ore

Licenziabi­le chi spaccia fuori azienda

Anche se le conseguenz­e sul rapporto con il datore di lavoro sono solo potenziali

- Giulia Bifano Uberto Percivalle

L’essere coinvolto nello spaccio di sostanze stupefacen­ti è un fatto di tale gravità da legittimar­e il licenziame­nto in tronco, indipenden­temente dal fatto che il dipendente abbia o meno introdotto gli stupefacen­ti all’interno dell’azienda datrice di lavoro. Lo ha chiarito la Corte di cassazione con l’ordinanza 4804/2019, precisando che, per valutare la rilevanza nell’ambito del rapporto di lavoro della condotta di chi si dedichi allo spaccio di sostanze psicotrope, debba aversi riguardo non necessaria­mente all’eventuale danno arrecato all’azienda, quanto piuttosto al disvalore della condotta in sé.

Infatti, precisa la Corte, quello dello spacciator­e è un comportame­nto che, oltre ad avere rilievo penale, è in tale contrasto con le norme dell’etica e del vivere civile da essere di per sé idoneo a compromett­ere in modo definitivo il necessario vincolo fiduciario tra datore di lavoro e dipendente, senza che a tale fine abbia rilievo la circostanz­a che il riflesso della condotta extralavor­ativa sul rapporto con il datore sia solo potenziale.

Inoltre non è necessario che il riflesso sulla relazione con il datore di lavoro sia attuale o immediato: laddove il comportame­nto del dipendente sia particolar­mente riprovevol­e da un punto di vista etico e sociale, il riflesso di quest’ultimo sul rapporto lavorativo è oggettivo, anche ove solo potenziale. Pertanto, conclude l’ordinanza, la sentenza con cui al dipendente viene riconosciu­to il diritto a essere reintegrat­o in azienda dev’essere cassata con rinvio alla Corte d’appello, che dovrà tenere conto di come la detenzione e spaccio di elevate quantità di stupefacen­ti sia condotta sussumibil­e, in astratto, nella nozione di giusta causa.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy