Londra chiede il rinvio sull’uscita Ue: non è automatico
Entro il 20 May ripresenterà a Westminster l’accordo con l’Unione europea Bocciato un emendamento che conteneva la richiesta di un referendum-bis
Sì del Parlamento inglese alla mozione che chiede un’estensione dell’articolo 50 oltre il 29 marzo, data prevista di Brexit: se l’accordo concordato con la Ue sarà approvato entro il 20 marzo ci sarà un rinvio tecnico non oltre il 30 giugno; altrimenti il Paese resterà nella Ue più a lungo. La Ue: il rinvio non è automatico, spetterà ai leader dei 27 decidere all’unanimità.
Westminster chiede i tempi supplementari. Al termine di un’altra giornata concitata in Parlamento, i deputati britannici ieri sera hanno approvato con un ampio margine di 210 voti la mozione che chiede un’estensione dell’articolo 50 oltre il 29 marzo, data prevista di Brexit.
La mozione, passata con 412 voti favorevoli contro 202, stabilisce che se l’accordo concordato con l’Unione Europea sarà approvato entro il 20 marzo ci sarà un rinvio tecnico non oltre il 30 giugno. Se invece l’intesa sarà nuovamente respinta, la Gran Bretagna resterà nella Ue per un periodo di tempo più lungo, tutto da stabilire.
Theresa May infatti procede ostinatamente per la sua strada: la premier ha deciso di ripresentare l’accordo concordato con la Ue al Parlamento per la terza volta la settimana prossima. L’accordo è già stato respinto due volte dai deputati, la prima con uno scarto di 230 voti in gennaio e la seconda, dopo qualche concessione sul testo dalla Ue, con un margine di 149 voti martedì scorso.
La May sa però che l’approvazione del suo accordo è l’unico modo per chiudere la questione Brexit e uscire dalla Ue in tempi brevi. Ora che il Parlamento ha votato a favore di un rinvio e contro un’uscita senza accordo in qualsiasi circostanza, la premier spera che i deputati euroscettici conservatori e gli unionisti nordirlandesi del Dup che finora hanno remato contro decidano di votare a favore pur di non rischiare un lungo rinvio dell’uscita dalla Ue e perfino la possibilità di un ripensamento su Brexit.
Per ora non ci sono segnali di ammorbidimento delle posizioni dei Brexiter Tory e del Dup, ma la May intende continuare a fare pressioni perché cambino idea nei prossimi giorni. La terza votazione si terrà entro il 20 marzo, prima del summit dei leader europei.
Il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk ha dichiarato che al summit rivolgerà un appello ai 27 «a essere aperti a una lunga estensione se il Regno Unito ritiene necessario ripensare la strategia su Brexit e raccogliere consensi». Le sue parole sono state interpretate come un tentativo di aiutare la May, con un monito ai deputati euroscettici contrari all’accordo negoziato con Bruxelles che se lo respingeranno per la terza volta dovranno attendere a lungo la tanto sospirata uscita dalla Ue.
Londra chiede, ma spetta alla Ue concedere il rinvio richiesto. Come ha ricordato ieri sera dopo il voto il portavoce della Commissione, i 27 dovranno decidere all’unanimità al summit della settimana prossima se acconsentire a un’estensione dell'articolo 50 e per quanto tempo.
A Westminster l’esasperazione di molti per la posizione irremovibile della premier è venuta a galla ieri. L’emendamento che proponeva che dopo il 20 marzo sia il Parlamento a prendere il controllo di Brexit è stato bocciato per soli due voti, 314 contro 312. L’emendamento era stato proposto da deputati di cinque partiti: laburisti, conservatori, liberaldemocratici, nazionalisti scozzesi e gallesi.
È stato invece ritirato all’ultimo momento un altro emendamento mirato a impedire che la premier possa ripresentare il suo accordo al Parlamento per la terza volta. Appellandosi alle regole procedurali che non consentono alla stessa mozione di essere discussa di nuovo nella stessa sessione parlamentare, l’emendamento avrebbe permesso allo Speaker John Bercow di bloccare il terzo voto.
L’opzione di un secondo referendum, che aveva preso quota nelle ultime settimane, è stata respinta ieri dai deputati soprattutto a causa della decisione del partito laburista di non votare a favore. L’emendamento proposto dalla deputata dell’Independent Group Sarah Wallaston è stata sconfitto con 334 voti contrari e 85 a favore.
L’ambivalenza del Labour su Brexit in generale e sulla questione del secondo referendum in particolare è quindi venuta clamorosamente alla luce ieri. Il leader Jeremy Corbyn a sorpresa aveva ordinato ai suoi deputati di astenersi, sostenendo che «non era il momento giusto». Alla fine 25 laburistilo hanno sfidato votando a favore ma non hanno potuto evitare una sonora sconfitta.
Corbyn ha però ribadito il suo sostegno per un altro referendum «quando sarà un’opzione realistica». I sostenitori di un secondo voto hanno dichiarato che la questione potrà tornare alla ribalta nei prossimi giorni se l’accordo della May verrà nuovamente respinto.
Intanto, come se la May non avesse abbastanza critici in patria, ieri è stata redarguita anche dal presidente Usa per come ha gestito Brexit. Parlando durante un incontro alla Casa Bianca con il premier irlandese Leo Varadkar, Donald Trump ha detto di essere «sorpreso di come sono andati male i negoziati, ma avevo detto alla May le mie idee per negoziare e lei non mi ha ascoltato». Trump ha però aggiunto che spera di concludere «un grande accordo commerciale» con la Gran Bretagna.