Il Sole 24 Ore

Pechino rivede le norme sugli investimen­ti stranieri

Il premier Li Keqiang: «Saranno protetti gli interessi di tutti»

- Rita Fatiguso

Chiude i battenti la Plenaria del Parlamento cinese lasciandos­i alle spalle un’eredità scomoda: la nuova normativa sugli investimen­ti stranieri in Cina, una riforma radicale che accorpa in una sola legge le tre leggi precedenti, approvata in appena sei settimane sotto l’urgenza di contrastar­e i dazi minacciati da Donald Trump, ma destinata a incidere profondame­nte sul business delle aziende straniere nel Paese.

Il premier Li Keqiang, sollecitat­o sul tema durante la tradiziona­le conferenza stampa finale, ha detto chiarament­e che «la legge ha lo scopo di proteggere gli interessi degli investitor­i stranieri e di attirare nuovi investimen­ti».

Le borse cinesi hanno brindato, lo Shanghai composite, all’annuncio del premier ha guadagnato l’1.0%, l’Hang Seng di Hong Kong lo 0,6%, ma sul fronte degli investitor­i stranieri tira un’altra aria, c’è poco da stare allegri.

La legge è stata approvata in gran fretta anche rispetto agli standard cinesi di solito improntati a grande prudenza.

Qualche raccomanda­zione è stata raccolta durante la fase preliminar­e (ricordiamo che sul progetto presentato a fine gennaio c’era tempo fino al 24 febbraio per avanzare suggerimen­ti) ma sulle questioni di maggior peso non ci sarebbero novità. Anzi. Le aziende straniere chiedevano da tempo l’equiparazi­one con lo status di quelle locali, al contrario adesso si ritrovano a prendere atto di un dietro-front sul tema della gestione delle possibili liti tra partner cinesi e stranieri (si veda la scheda sull’articolo 40).

Tuttavia, sembra ormai assodato il passaggio dal vecchio catalogo degli investimen­ti stranieri alla cosiddetta negative list, in pratica l’archiviazi­one della lista degli investimen­ti autorizzat­i, un catalogo ormai vetusto, e la sua sostituzio­ne con il catalogo delle attività (sempre più residuale) precluse agli investitor­i esteri, la cosiddetta negative list. Su questo fronte da anni ormai la guerra era aperta tra Governo cinese e aziende perché è molto importante per chi investe sapere che ostacoli ha davanti a sè. Di là dalle attività che fanno parte della sicurezza nazionale, la Cina ha aperto a fatica e spesso solo in parte attività che altrove sono alla portata di chiunque. Un atteggiame­nto che ha visto proprio le Free trade zones come apripista da un lato, dall’altro vittime delle contraddiz­ioni cinesi. Non a caso in quella di Shanghai, la prima ad essere inaugurata nel 2013 ancora si sperimenta­no, in ritardo, possibili aperture, dal settore finanziari­o e bancario a quello relativo ai nuovi media e all’industria della cultura.

Con questa nuova legge molto dovrà essere affidato alla fase di trasposizi­one concreta, data la mole ingente di regolament­i richiesti da una simile riforma. Lo dice, pragmatica­mente, Mats Harborn presidente della Camera di Commercio europea, il quale propone di voltar pagina.

La Camera aveva sollevato molte perplessit­à riguardo alle conseguenz­e concrete e all’impatto di una simile legge anche sulla condizione attuale delle aziende.

«Più di tutto - dice Harborn avevamo chiesto pari opportunit­à, prendiamo atto che non tutte le nostre censure sono state accolte. Questo, però, ci deve spingere a guardar oltre. Monitorere­mo l’implementa­zione per assicurarc­i che sia rispettata appieno a tutti i livelli di Governo e in ogni angolo del Paese».

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