Bolloré, l’ennesimo passo indietro stuzzica la curiosità del mercato
In passato le dimissioni sono giunte alla vigilia di spiacevoli «sorprese»
Non si può dire che Vincent Bolloré sia avaro di colpi di scena. Qualche anno fa - era l’autunno del 2013 - aveva sorpreso mezza Italia lasciando una delle poltrone più ambite della Penisola, quella di vice-presidente delle Generali. Al termine dell’assemblea di Vivendi dell’anno scorso - condotta con meno verve del passato ma comunque senza un’ombra di dissenso - il finanziere bretone si era congedato comunicando che da lì a poco avrebbe passato la sua carica di presidente del consiglio di sorveglianza al figlio Yannick. Giovedì scorso Bollorè ha lasciato anche l’ultima posizione al vertice di una società quotata, il Gruope Bolloré. Le spiegazioni sono state, di volta in volta, quantomeno vaghe. Troppi incarichi, per l’uscita da Generali. Largo ai giovani, per l’abbandono di Vivendi. Passaggio ordinato delle consegne per la nomina del figlio Cyrille alla presidenza del gruppo di famiglia.
Ma tutte le volte, almeno finora, a breve giro di posta si è scoperto che gli stava piombando in capo una nuova tegola. Cinque anni fa l’interdizione per 18 mesi dalle cariche nelle società quotate disposta dalla Consob in relazione alla vicenda Premafin. L’anno scorso, cinque giorni dopo aver salutato dal palco dell’Olympia, l’umiliazione del fermo giudiziario per l’ipotesi di corruzione internazionale legata alle attività del suo gruppo in Africa. Con gli azionisti di Vivendi, Bolloré aveva rivendicato allora di avere avuto il coraggio di scommettere sul Continente nero; ieri invece, con gli analisti, si è detto fiducioso sull’Italia, che si troverà il modo di intendersi. Ma a differenza dell’Africa, che prima dei grattacapi comunque qualche soddisfazione l’ha regalata, dal Bel Paese negli ultimi tempi sono arrivati solo dolori. Con Mediaset la situazione si è incartata al punto che, ora che verrà proposto il voto doppio, il Biscione medita persino di chiudergli in faccia il libro soci, reputando che tutta la partecipazione del 28,8% sia stata rilevata in modo irregolare e dunque non meriti di votare per nulla. Con Telecom le speranze di rivincita su Elliott si sono infrante sui giudizi impietosi dei proxy advisor che in sostanza - pur riconoscendo in qualche misura che i francesi non sono sempre stati trattati con i guanti - preferiscono sorvolare sulla pagliuzza pur di non perdere di vista la trave. Tutto meglio, è la conclusione tranchant, che avere di nuovo i francesi al comando. Un problema di credibilità che rischia di aprire un varco anche a Parigi dove, alla prossima assemblea del 15 aprile, il fondo attivista francese Phitrust cercherà di trovare il consenso per rimuovere Yannick dal vertice di Vivendi. Con la motivazione che non può stare sopra, alla presidenza del consiglio di sorveglianza che, come dice la parola stessa deve sorvegliare, e sotto, alla guida di Havas, che deve essere controllata. Con la conseguenza che di mezzo c’è il ceo Arnaud de Puyfontaine, che da una parte ha sopra il figlio del padrone e dall’altra ha sotto il management della controllata. Che poi sono la stessa persona.