UN DEBUTTO TRA I PERICOLI NON CALCOLATI DI RITARDI E SOSPETTI
Dopo oltre 20 anni di (non proprio onorato) servizio, gli studi di settore lasciano definitivamente la scena delle politiche di contrasto dell’evasione fiscale. Insieme all’Irap – che è invece ancora viva e vegeta – gli “studi” sono diventati nel tempo il marchio di fabbrica di un fisco tirannico, il simbolo di un sistema iniquo e opprimente.
Sia chiaro: di studi di settore – nati nel 1993 e divenuti operativi nel 1998 – sentiremo ancora parlare per un bel pezzo, non foss’altro per quella prevedibile coda di contenzioso e sentenze che inevitabilmente questa lunga stagione si porterà dietro. Forse, però, ministri, viceministri o persino vicepremier smetteranno almeno di promettere a giorni alterni l’«abolizione degli studi di settore».
Mettiamoci tranquilli e abituiamoci all’idea: gli studi di settore (e i parametri) sono già stati aboliti e sostituiti dagli Isa, ovvero i nuovi Indici sintetici di affidabilità fiscale. Abolirli di nuovo servirebbe davvero a poco. E anche il tentativo, in Commissione Finanze, con la Pdl Ruocco-Gusmeroli (M5s e Lega) di sopprimere sul nascere le nuove pagelle fiscali è per ora stato bocciato dal ministero dell’Economia e dalla stessa amministrazione.
Per ora è assodato che gli Isa, elaborati da Sose - società partecipata da Mef e Bankitalia - sono un ulteriore strumento destinato a realizzare quella svolta nelle strategie antievasione della quale da tempo si sente argomentare. Una svolta anche culturale, in continuità con l’imprinting ricevuto sin dalla stagione dei governi post crisi (Renzi e Gentiloni), con un approccio teso a privilegiare – almeno nella narrazione – la prevenzione dei comportamenti illeciti rispetto al contrasto vero e proprio dell’illegalità. In breve: è il “fisco amico” al quale in verità non credono né i contribuenti alle prese con le quotidiane incongruenze del sistema, né chi ritiene che il contrasto dell’evasione abbia bisogno (anche) di strumenti, per così dire, un po’ più vigorosi. Ma tant’è.
Nella transizione dagli studi agli Isa, per un universo economico nel quale operano 3,8 milioni tra imprese medio-piccole e professionisti, si compie il passaggio da uno strumento di accertamento vero e proprio, anche se depotenziato dalla giurisprudenza e sempre più in disuso, a uno strumento di compliance, che restituisce un indice di correttezza del comportamento fiscale. Gli studi di settore quantificavano la “distanza” tra i ricavi/compensi dichiarati e quelli considerati congrui. Gli Isa valutano invece l’affidabilità dei dati contabili del contribuente, le eventuali anomalie legate ad aspetti tipici della sua attività e sintetizzano il risultato con un voto medio di fedeltà fiscale. Con la possibilità di ottenere benefici premiali, in parte già previsti dalle regole sugli studi di settore, tanto più consistenti al crescere del grado di affidabilità raggiunto dal contribuente.
Il potenziamento del sistema premiale – che si svelerà tuttavia solo con un provvedimento delle Entrate ancora mancante – va in linea di principio accolto positivamente, anche perché si muove nella direzione indicata dalle best practice mondiali. E l’ampliamento dei benefici previsto con l’arrivo degli Isa (in sintesi: esoneri su visto di conformità per compensazioni, rimborsi e garanzie; nessun accertamento con presunzioni semplici; non applicazione delle regole sulle società di comodo; esclusione dagli accertamenti sintetici; riduzione di almeno un anno dei termini di decadenza per l’accertamento) potrebbe essere esteso ad altri ambiti, scommettendo per esempio su una riduzione mirata degli adempimenti, concessa ai più virtuosi.
A essere ancora nebulose sono invece le conseguenze nel caso in cui il “giudizio” di affidabilità sia poco generoso. In modo non così diverso dagli studi di settore, con gli Isa è prevista per i contribuenti la possibilità di integrare i dati delle dichiarazioni, per migliorare la propria collocazione rispetto agli indicatori. In presenza di un “voto” basso il contribuente potrà indicare ulteriori elementi positivi di reddito, i quali faranno crescere la base imponibile (Irpef-IresIrap) e il volume d’affari Iva, ma anche il grado di affidabilità.
Resta da capire che cosa accadrà a chi preferirà restare con il “brutto voto”. La legge dice che Entrate e Gdf definiranno strategie di controllo che tengano conto del livello di affidabilità derivante dall’applicazione degli Isa. Il tutto, sembra di capire, combinato con i dati dell’anagrafe dei rapporti finanziari.
Al momento non si sa di più. Il che non è un buon modo per cominciare l’avventura degli Isa. Non si conoscono ancora i vantaggi reali del sistema premiale. È arrivata la modulistica e ci si è resi conto della quantità di dati richiesti, talvolta più numerosi di quelli previsti nei “lunari” modelli degli studi di settore. Per il software si dovrà ancora aspettare a lungo. Non è stata fatta alcuna sperimentazione, nessuna prova, nessun periodo transitorio. Insomma, si parte “in presa diretta” o, meglio, “nel buio totale”, come qualcuno lamenta. Timori comprensibili, per chi a breve dovrà tuffarsi in nuovo mondo e in una nuova filosofia. Timori ai quali occorre dare risposte rapide, anche per non rafforzare lo scetticismo di chi teorizza il «tanto non cambia nulla: gli Isa altro non sono che l’evoluzione degli studi di settore».