Lo scambio di lettere decide il trattamento contabile e fiscale
Decisivo il contenuto delle comunicazioni tra i soci e la compagine
Una volta stabilito che la modalità più opportuna per documentare un finanziamento infruttifero dei soci è il contratto perfezionato tramite corrispondenza commerciale, è importante ricordare che il contenuto delle comunicazioni scambiate tra soci e società determina conseguenze nel bilancio non trascurabili laddove si decida di contabilizzare l’operazione con il criterio del costo ammortizzato.
Applicando il cosiddetto “fattore temporale” di cui all’articolo 2426, punto 8 del Codice civile il debito verso i soci (dal punto di vista della società finanziata) va attualizzato utilizzando un certo tasso e il differenziale tra valore nominale del debito e valore attualizzato diviene una posta imputabile al conto economico oppure allo stato patrimoniale a seconda dei casi. Al riguardo occorre ricordare che secondo l’Oic 19 (esempio 2B collocato in calce al documento) se la natura della operazione è il rafforzamento patrimoniale della controllata si avrà per quest’ultima un incremento del patrimonio netto, mentre se la natura è altra si avrà un provento di carattere finanziario.
Dal momento che tale scelta assume rilevanza anche dal punto di vista fiscale sarà importante poter documentare senza possibili contestazioni quale sia la natura della operazione, e una possibile sede per dimostrare tale natura è certamente il contenuto delle comunicazioni scambiate tra società e socio finanziatore. Se ipotizziamo che l’intento che motiva il socio a erogare un finanziamento infruttifero alla società sia quello di rafforzarne il patrimonio netto, il differenziale tra valore nominale del debito e valore attuale sarà collato tra le riserve (di capitale, si ritiene) mentre in capo al socio finanziatore (ipotizzando che si tratti di socio/imprenditore) si avrà un incremento del costo della partecipazione.
Per contro in sede di chiusura del bilancio d’esercizio la società controllata rileverà l’ammontare degli interessi passivi figurativi, non deducibili se la società/socia finanziatrice controlla la società finanziata, ai sensi dell’articolo 1 del Dm 3 agosto 2017. Diverso scenario se il socio non è controllante poiché in tal caso non si applica il decreto ministeriale e in ossequio al criterio di derivazione rafforzata si potrà dedurre gli interessi passivi “figurativi” imputati a conto economico.
Quando, invece, l’intento del socio finanziatore non sia il rafforzamento patrimoniale, la società finanziata imputerà il differenziale tra valore attuale del debito e valore nominale tra i proventi finanziari (voce C 16) del conto economico, generando quindi un componente di reddito tassabile, sempre in forza del principio di derivazione rafforzata. Per contro la quota annuale di interessi passivi (figurativi così come i proventi ma pur sempre rilevanti sia a livello civile che fiscale) sarà deducibile poiché anche in questo caso non si applica il divieto di deducibilità previsto dal Dm 3 agosto 2017. Dal punto di vista della finanziatrice questa seconda ipotesi determina l’imputazione del differenziale tra credito nominale e credito attualizzato, tra gli oneri finanziari, potendone pretendere la deduzione fiscale poiché si tratta di componenti negativi correttamente imputati a conto economico.