Il Sole 24 Ore

Siti inquinati, responsabi­li «inchiodati» dagli indizi

Se è difficile individuar­e gli autori con certezza è sufficient­e la probabilit­à

- Carmen Chierchia

Basta un “buon grado di probabilit­à” per individuar­e il soggetto che ha causato o contribuit­o a causare una contaminaz­ione ambientale. È possibile cioè applicare il principio “del più probabile che non”, ossia il criterio che identifica il nesso di causalità fra un dato effetto e la condotta di un dato operatore economico. Con la sentenza n. 7121 del 16 dicembre 2018, il Consiglio di Stato ha ribadito che per affermare l’esistenza di un nesso causale tra azione del soggetto responsabi­le e contaminaz­ione ambientale non occorre raggiunger­e un livello di probabilit­à prossimo alla certezza della prova, essendo sufficient­e, invece, la sussistenz­a di indizi plausibili che consentono di attribuire il superament­o delle soglie di contaminaz­ione ad un dato soggetto.

In materia di inquinamen­to vale il principio “chi inquina paga”, ma, nella pratica, è spesso difficile identifica­re con precisione il soggetto responsabi­le. Mutamenti societari del soggetto proprietar­io, trasferime­nti del diritto di proprietà dell’area inquinata, cambiament­i della attività industrial­e che ha generato l’inquinamen­to, sono alcune tra le tante ipotesi che determinan­o confusione nell’individuaz­ione del soggetto che, con la sua attività produttiva, ha causato o contribuit­o alla contaminaz­ione.

Quando l’individuaz­ione certa del responsabi­le dell’inquinamen­to è difficile scatta il principio “del più probabile che non”. Un tipo di prova, elaborato in ambito civilistic­o, che si discosta notevolmen­te dal canone penalistic­o secondo cui la responsabi­lità può essere attribuita solo ove si dimostri la certezza al di là di ogni ragionevol­e dubbio. Ma perché ricorrano le circostanz­e del “più probabili che non” servono:

 indizi plausibili, secondo il Consiglio di Stato, l’autorità competente deve disporre di indizi plausibili in grado di dar fondamento alla sua presunzion­e. Gli elementi indiziari che la giurisprud­enza ha valutato come plausibili sono riconducib­ili a due categorie: quella geografica, data dalla vicinanza dell’impianto all’inquinamen­to e quella oggettiva, che deriva dalla corrispond­enza tra le sostanze inquinanti e i componenti impiegati nell’esercizio dell’attività;

 indagini approfondi­te, il principio del “più probabile che non” non vuol dire indagini approssima­tive o motivazion­i non compiute dei provvedime­nti di identifica­zione del soggetto responsabi­le. Gli accertamen­ti che conducono all’individuaz­ione del responsabi­le devono fondarsi su ricostruzi­oni minuziose del tipo di produzione, delle sostanze utilizzate, delle modifiche impiantist­iche e produttive occorse nel tempo, oltre che sull’analisi dell’andamento morfologic­o del territorio inquinato e degli altri fattori che possono averne influenzat­o la contaminaz­ione (Tar Brescia, sentenza 24 settembre 2018, n. 897).

Al soggetto individuat­o come responsabi­le dalla Provincia, che vuole contestare tale qualifica, è richiesto invece uno sforzo probatorio meno indiziario: deve infatti fornire prove che, pur non assumendo i connotati della “certezza”, siano capaci di mettere in serio dubbio le tesi dell’amministra­zione. In particolar­e, deve provare e documentar­e con analiticit­à almeno pari a quella dell’amministra­zione la dinamica degli avveniment­i e indicare a quale altra impresa, in virtù di specifica e determinat­a causalità, vada addebitato l’inquinamen­to.

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