Siti inquinati, responsabili «inchiodati» dagli indizi
Se è difficile individuare gli autori con certezza è sufficiente la probabilità
Basta un “buon grado di probabilità” per individuare il soggetto che ha causato o contribuito a causare una contaminazione ambientale. È possibile cioè applicare il principio “del più probabile che non”, ossia il criterio che identifica il nesso di causalità fra un dato effetto e la condotta di un dato operatore economico. Con la sentenza n. 7121 del 16 dicembre 2018, il Consiglio di Stato ha ribadito che per affermare l’esistenza di un nesso causale tra azione del soggetto responsabile e contaminazione ambientale non occorre raggiungere un livello di probabilità prossimo alla certezza della prova, essendo sufficiente, invece, la sussistenza di indizi plausibili che consentono di attribuire il superamento delle soglie di contaminazione ad un dato soggetto.
In materia di inquinamento vale il principio “chi inquina paga”, ma, nella pratica, è spesso difficile identificare con precisione il soggetto responsabile. Mutamenti societari del soggetto proprietario, trasferimenti del diritto di proprietà dell’area inquinata, cambiamenti della attività industriale che ha generato l’inquinamento, sono alcune tra le tante ipotesi che determinano confusione nell’individuazione del soggetto che, con la sua attività produttiva, ha causato o contribuito alla contaminazione.
Quando l’individuazione certa del responsabile dell’inquinamento è difficile scatta il principio “del più probabile che non”. Un tipo di prova, elaborato in ambito civilistico, che si discosta notevolmente dal canone penalistico secondo cui la responsabilità può essere attribuita solo ove si dimostri la certezza al di là di ogni ragionevole dubbio. Ma perché ricorrano le circostanze del “più probabili che non” servono:
indizi plausibili, secondo il Consiglio di Stato, l’autorità competente deve disporre di indizi plausibili in grado di dar fondamento alla sua presunzione. Gli elementi indiziari che la giurisprudenza ha valutato come plausibili sono riconducibili a due categorie: quella geografica, data dalla vicinanza dell’impianto all’inquinamento e quella oggettiva, che deriva dalla corrispondenza tra le sostanze inquinanti e i componenti impiegati nell’esercizio dell’attività;
indagini approfondite, il principio del “più probabile che non” non vuol dire indagini approssimative o motivazioni non compiute dei provvedimenti di identificazione del soggetto responsabile. Gli accertamenti che conducono all’individuazione del responsabile devono fondarsi su ricostruzioni minuziose del tipo di produzione, delle sostanze utilizzate, delle modifiche impiantistiche e produttive occorse nel tempo, oltre che sull’analisi dell’andamento morfologico del territorio inquinato e degli altri fattori che possono averne influenzato la contaminazione (Tar Brescia, sentenza 24 settembre 2018, n. 897).
Al soggetto individuato come responsabile dalla Provincia, che vuole contestare tale qualifica, è richiesto invece uno sforzo probatorio meno indiziario: deve infatti fornire prove che, pur non assumendo i connotati della “certezza”, siano capaci di mettere in serio dubbio le tesi dell’amministrazione. In particolare, deve provare e documentare con analiticità almeno pari a quella dell’amministrazione la dinamica degli avvenimenti e indicare a quale altra impresa, in virtù di specifica e determinata causalità, vada addebitato l’inquinamento.