Nel rendiconto le basi per evitare le sanzioni sui tempi di pagamento
Decisiva la definizione dello stock di debiti da ridurre quest’anno
In vista del rendiconto gli enti devono lavorare anche sul dato dello stock dei debiti commerciali al 31 dicembre 2018. Da lì arriva la base di calcolo sulla quale opereranno dal 2020 le penalizzazioni introdotte dalla manovra per le Pa che non riducano i debiti commerciali o non rispettino i tempi di pagamento.
Il meccanismo è differenziato fra le Pa in contabilità finanziaria, in economico-patrimoniale e gli enti della sanità. Le penalità cambiano anche a seconda che gli enti abbiamo ridotto lo stock di debiti commerciali oppure presentino tempi di pagamento maggiori rispetto a quelli previsti dall’articolo 4 del decreto legislativo 231/2001.
Le novità partiranno dal preventivo 2020, ma richiedono un’attività istruttoria già dal rendiconto 2018.
Nelle Pa dell’elenco Istat, tranne Stato e sanità, se il debito commerciale residuo (articolo 33 del Dlgs 33/2013) rilevato alla fine dell’esercizio precedente (2019) non si è ridotto almeno del 10% rispetto a quello del secondo esercizio precedente (2018), entro il 31 gennaio dell’esercizio di riferimento (2020), se in contabilità finanziaria, devono stanziare nella parte corrente del bilancio un accantonamento (fondo di garanzia debiti commerciali), non disponibile per impegni e pagamenti, che a fine esercizio andrà a confluire nella quota libera del risultato di amministrazione. Le risorse da vincolare variano tra l’1 e il 5% degli stanziamenti di spesa per acquisto di beni e servizi dell’esercizio in corso a seconda della gravità del problema. In corso esercizio, il fondo dovrà essere adeguato alle variazioni di bilancio sulla spesa per l’acquisto di beni e servizi e non dovrà riguardare le spese vincolate.
Gli enti in contabilità economico-patrimoniale, tranne la sanità, se il debito commerciale residuo dell’esercizio precedente (2019) non si sia ridotto almeno del 10% rispetto al secondo esercizio precedente (2018) oppure non rispettino i termini di pagamento, nell’esercizio di riferimento (2020) devono ridurre i costi di competenza per consumi intermedi di una quota fra l’1 e il 3%, anche qui a seconda della gravità del quadro.
Per gli enti del Servizio sanitario nazionale non in regola con i tempi di pagamento, le regioni e le province autonome debbono integrare i contratti di direttori generali e amministrativi con un obiettivo specifico sui tempi di pagamento per riconoscere l’indennità di risultato. La quota dell’indennità di risultato legata a questo obiettivo non può essere inferiore al 30 per cento. Questa quota non sarà riconosciuta in caso ritardi superiori a 60 giorni oppure di mancata riduzione di almeno il 10
Tagli fino al 5% agli acquisti di beni e servizi per chi non alleggerisce del 10% le fatture arretrate
per cento del debito commerciale residuo. Sarà riconosciuta per la metà qualora i ritardi si attestino fra 31 e 60 giorni; per il 75 per cento in caso di ritardi fra 11 e 30 giorni; per il 90 per cento in caso di ritardi fra uno e 10 giorni.
La normativa è complessa, ma la sua logica è abbastanza semplice. Le Pa in contabilità finanziaria “fuori regola” devono comprimere la spesa di competenza per generare surplus di cassa in grado di garantire il pagamento di debiti pregressi insoluti iscritti in bilancio o riconosciuti.
La stessa cosa vale per le Pa in contabilità economico patrimoniale, con l’obbligo di riduzione dei costi per consumi intermedi nell’esercizio di competenza.
Per gli enti del servizio sanitario è diverso, perché, per il tramite delle Regioni, si opera in una logica sanzionatoria in termini economici rispetto al ruolo del direttore generale e del direttore amministrativo.
Per garantire la correttezza del meccanismo, comunque, bisogna lavorare, sin da ora, sul dato 2018.