Il Sole 24 Ore

I DIVARI TRA LE REGIONI E L’ALIBI DELL’IMMOBILISM­O

- di Francesco Verbaro

L’autonomia differenzi­ata per le Regioni è oggetto di un braccio di ferro tra i due partiti di governo e tra la maggioranz­a e l’opposizion­e, ma senza una riflession­e su quale forma di governo sarebbe oggi più efficace. Il confronto è ancora una volta ideologico: alcuni dicono che riconoscen­do maggiore autonomia si intende «spaccare il Paese», aumentando le differenze tra Nord e Sud; altri ritengono necessario e costituzio­nalmente corretto riconoscer­e maggiore autonomia alle regioni più virtuose.

Occorrereb­be partire ragionando su che cosa è accaduto in questi anni e in che condizioni è il nostro Paese, sia dal punto di vista economico sia da quello amministra­tivo, e quanto abbia pesato la buona o cattiva performanc­e delle regioni.

Se pensiamo agli strumenti di governo di uno stato regionale non possiamo non riconoscer­e la debolezza dell’attuale sistema.

I costi standard e i livelli essenziali delle prestazion­i sono stati elaborati con grande fatica, ma per niente applicati. Sistemi volti a premiare le amministra­zioni virtuose (università, comuni, Asl, eccetera) fanno emergere rigurgiti sessantott­ini, per i quali bisogna dare di più a chi sta indietro, senza valutare se chi sta indietro occupa quella posizione (il più delle volte) perché ha speso e spende male. Le classifich­e sull’efficienza delle pubbliche amministra­zioni o sulla spesa per fondi europei vengono solitament­e nascoste o edulcorate, mai utilizzate per ovvie ragioni politiche. Su questo modo di operare si raggiunge nella prassi l’unanimità dell’arco costituzio­nale. Tanto meno vengono utilizzate classifich­e sulla qualità della vita sempre più puntuali, elaborate da soggetti esterni (quotidiani come Il Sole 24 Ore o associazio­ni tipo Legambient­e); mentre ci si ostina su norme in materia di performanc­e e su sistemi sofisticat­i di valutazion­e che poi non hanno alcuna rilevanza nella governance reale di un’amministra­zione e sulla qualità dei servizi.

È un bene pertanto affrontare il tema dell’autonomia differenzi­ata con attenzione. Essa è stata da molti sottovalut­ata secondo la logica del “comprare tempo”. Abbiamo un’emergenza che non è data dalla necessità di trovare un accordo tra Lega e 5Stelle su questo tema: in ampie zone del Paese le istituzion­i e le amministra­zioni non ci sono e non funzionano, e spesso questo accade al Sud.

Senza scomodare Banfield o Putnam, ci si deve porre l’interrogat­ivo se non serva una autonomia differenzi­ata che porti anche a ridurre le competenze ordinarie di alcune regioni e all’esercizio reale di un potere sostitutiv­o. Per parlare di un tema di attualità basti pensare al diverso approccio delle regioni alle assunzioni di personale, da ultimo dei “navigator”. C’è chi pensa ai servizi e chi pensa alla stabilizza­zione del precariato storico.

Dovrebbe essere noto che amministra­zioni che reclutano male e che piegano l’amministra­zione agli interessi di pochi, degli insider piuttosto che a quelli dei cittadini, hanno naturalmen­te una performanc­e peggiore.

Evitiamo allora che dietro parole belle e nobili come «solidariet­à nazionale» si continuino a nascondere le inefficien­ze di sempre. Si possono rinviare i provvedime­nti «spacca-Italia», come sono stati definiti da molti, ma sapendo che il nostro Paese deve fare i conti con il tema di una efficiente e adeguata ripartizio­ne delle funzioni e competenze.

Molti pongono come problema, e come fonte di rischio nel procedere verso il regionalis­mo differenzi­ato, la mancanza di uno Stato forte, di un centro capace di governare le differenze presenti oggi in termini di efficienza istituzion­ale e ricchezza. Se questo è il motivo, non basta fermare il regionalis­mo. Serve ristruttur­are il centro, ridisegnar­e e potenziare i ministeri, così come le agenzie nazionali che risentono della debolezza delle amministra­zioni controllan­ti. E avviare un reclutamen­to mirato rispetto a funzioni centrali di coordiname­nto.

Inoltre, se si ha paura della scissione e dell’aumento dei divari in Italia, dobbiamo ricordare che già oggi abbiamo livelli di autonomia mal utilizzati, fonte di divari importanti­ssimi in termini di diritti sociali e servizi. Dobbiamo ricordare ancora una volta che il divario non è costituito solo da una diversa distribuzi­one di risorse, ma il più delle volte da una diversa capacità di spenderle. Basta vedere come vengono spesi i fondi europei o gestite la sanità e la formazione al Sud.

Sarebbe miope concludere che, poiché non si riesce a migliorare e riorganizz­are l’amministra­zione centrale e la sua capacità di intervento, allora è meglio che rimanga tutto così. Ci sembra questa, da molti proposti, una non scelta che rischia solo di peggiorare ancora la performanc­e della nostra già fragile democrazia.

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