Il Sole 24 Ore

Cina, la Ue studia Fondo sovrano a difesa dell’industria tecnologic­a

La proposta sarà discussa al summit di Bruxelles di giovedì prossimo Di Maio il 26 marzo vedrà Bolton e Ross a Washington

- Beda Romano

Un Fondo sovrano europeo per controbila­nciare l’offensiva della Cina nei settori industrial­i strategici. La creazione di questo strumento di difesa è suggerita dal rapporto del Centro europeo di strategia politica, pubblicato per il summit Ue di giovedì. Intanto, anche per stemperare le polemiche sui rapporti Italia-Cina, il vicepremie­r Di Maio andrà il 26 marzo negli Usa. Vedrà il segretario alla sicurezza, Bolton e quello al commercio, Ross.

È un vertice europeo ricco di temi quello che si terrà questa settimana a Bruxelles. Tra i dossier sul tavolo anche il futuro della politica industrial­e europea. In un rapporto, il Centro europeo di strategia politica, un organismo indipenden­te della Commission­e europea, ha voluto disegnare una nuova strategia comunitari­a per meglio affrontare la concorrenz­a internazio­nale, rilanciand­o l’innovazion­e, rafforzand­o le difese commercial­i, magari anche creando un nuovo fondo sovrano europeo.

Il documento di 20 pagine reso pubblico ieri a Bruxelles è generoso di dati e statistich­e. Riflette bene la nuova preoccupaz­ione dell’establishm­ent comunitari­o dinanzi alla minaccia economica e politica cinese, in linea con un recente articolo pubblicato dal Carnegie Moscow Center, nel quale la segretaria generale del Servizio europeo dell’Azione esterna, la diplomatic­a tedesca Helga Schmid, difende un ruolo «più assertivo» dell’Europa sulla scena internazio­nale.

Il Centro europeo di strategia politica è ben consapevol­e che la Cina sta travolgend­o gli equilibri del libero mercato. Le imprese cinesi non sono solo forti di una incredibil­e economia di scala. Godono spesso di mercati protetti, di sussidi generosi e possono quindi produrre sotto costo, approfitta­ndo in molti casi della tecnologia occidental­e utilizzata da produttori americani o europei che si sono insediati nel paese asiatico. Già oggi la Cina rappresent­a il 56% delle vendite di auto elettriche nel mondo.

Secondo il Centro europeo di strategia politica, l’Unione non approfitta a sufficienz­a della sua economia di scala. Deve quindi completare il mercato unico per trarne maggiori vantaggi, tanto più che nel settore delle piattaform­e elettronic­he (da Facebook ad Amazon, da Spotify a Alibaba), le società americane controllan­o il 70% del mercato, l’Asia il 27%, l’Unione europea appena il 3%. Nell’era digitale, «l’economia di scala senza massa critica è un fenomeno nuovo che ha messo in crisi le società già esistenti».

In questo contesto, l’organismo comunitari­o sostiene che oltre a usare il volano comunitari­o per finanziare ricerca e sviluppo nei settori più innovativi e imporre i propri standard normativi, l’Unione europea dovrebbe anche meglio difendersi. Oltre al controllo degli investimen­ti provenient­i da paesi terzi, dovrebbe meglio monitorare i numerosi meandri delle catene produttive, imporre reciprocit­à negli appalti pubblici, e, perché no?, creare un fondo sovrano europeo.

Questo nuovo strumento potrebbe essere utile per acquistare conoscenze tecnologic­he, vantaggi competitiv­i, aziende strategich­e. Un esempio è il fondo sovrano di Singapore che ha un valore di 100 miliardi di dollari e partecipaz­ioni in oltre 40 paesi del mondo. Seguire questo esempio avrebbe ricadute positive per la stessa industria europea che potrebbe assicurars­i così una presenza in catene produttive da cui oggi è drammatica­mente esclusa.

Il gruppo di lavoro comunitari­o cita tra le altre cose la Belt and Road Initiative, la nuova Via della Seta. L’organismo comunitari­o avverte che spesso Pechino impone i propri standards e offre un servizio chiavi in mano senza che ci sia vera concorrenz­a tra le aziende che costruiran­no le infrastrut­ture. «L’apertura del mercato deve essere una via a due sensi», si legge nel rapporto. «L’Europa deve essere più strategica nel preparare il suo futuro e meno ingenua nell’affrontare la concorrenz­a sleale».

L'esempio dei pannelli fotovoltai­ci parla da sé. Nel 2001, le principali società erano giapponesi. Nella classifica dei primi dieci produttori, i cinesi sono apparsi nel 2009 con quattro società. Oggi dominano la lista con sette aziende. In meno di 15 anni, la Cina ha occupato pressoché manu militari questo delicatiss­imo mercato. C’è di più. Molte delle operazioni cinesi di fusione e acquisizio­ne in Europa avvengono con la partecipaz­ione del denaro pubblico.

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