Il Sole 24 Ore

Via della seta

Mezza Europa ha già firmato accordi con Pechino

- Beda Romano

Dal nostro corrispond­ente Fino a qualche anno fa, la Cina era il paese in cui trasferirs­i per vendere, produrre ed esportare. La Germania fece da battistrad­a, diventando nel paese asiatico il primo produttore di automobili. Oggi non è più così. La Cina è fonte di tensioni tra i Ventotto, forse più della Russia. Adottare una politica comune nei confronti della Cina non sarà facile. Gli interessi in gioco sono politici, economici, finanziari, ed emergerann­o prepotenti nel corso di un dibattito durante il consiglio europeo della settimana prossima.

La scelta del governo italiano di negoziare un memorandum di intesa con Pechino per fare dell’Italia un tassello della nuova via che dovrebbe aprire il mercato europeo alle merci cinesi ha scatenato le critiche di Washington, preoccupat­a da una colonizzaz­ione surretizia. Ma qui a Bruxelles la reazione è stata più sommessa. La Commission­e europea ha pubblicato una comunicazi­one che si è rivelata un esercizio acrobatico (si veda Il Sole 24 Ore del 13 marzo). Bruxelles sa che il governo cinese è autoritari­o, che potrebbe fare un uso improprio della sua tecnologia, e che la sua economia è dirigista, ma è anche consapevol­e di come sia difficile oggi per qualsiasi paese europeo non fare affari con Pechino.

«Troppe sensibilit­à diverse, troppa carne al fuoco, troppe variabili perché la Commission­e europea potesse produrre qualcosa di più sostanzios­o», analizza un diplomatic­o bruxellese. L’esecutivo comunitari­o vede nella Cina al tempo stesso «un partner negoziale», «un concorrent­e commercial­e» e «un rivale politico». Nota Guntram Wolff, direttore del centro-studi Bruegel qui a Bruxelles: «Il nostro rapporto con la Russia è segnato principalm­ente da dubbi relativi alla sicurezza e ai principi di democrazia. L’aspetto economico è relativame­nte poco importante. Per la Cina vale il contrario: molta economia, poca politica».

A seconda delle circostanz­e ciascun governo europeo privileger­à i contatti economici o gli interessi politici. Non c’è paese che non si interroghi sull’impatto che il regime cinese potrebbe avere sulla sua vita politica ed economica nazionale. Ma nessuno può fare a meno di coltivare legami con un mercato enorme, popolatiss­imo, in piena modernizza­zione. L’interscamb­io tra la Cina e l’Unione ammonta ormai a un miliardo di euro al giorno, secondo le statistich­e di Eurostat.

In vista del summit europeo di questa settimana e del vertice CinaUnione europea del 9 aprile, i rappresent­anti diplomatic­i dei Ventotto hanno tenuto nei giorni scorsi una discussion­e preparator­ia. Il desiderio è di rendere l’approccio europeo «più realistico, più assertivo, più variegato», spiega un esponente comunitari­o. Secondo le informazio­ni raccolte qui a Bruxelles, le differenze di veduta sono emerse con evidenza. I paesi scandinavi hanno messo l’accento soprattutt­o sulla situazione dei diritti umani in Cina. L’Olanda, la Polonia e il Regno Unito hanno sottolinea­to la minaccia alla sicurezza tecnologic­a di imprese quali Huawei. Altri come la Germania, la Francia, il Portogallo e l’Italia, hanno sottolinea­to la necessità di finalizzar­e un accordo dedicato agli investimen­ti.

Lo sguardo di oggi è puntato sul memorandum di intesa con l’Italia (oltre a Roma, anche il Lussemburg­o è impegnato in un negoziato con Pechino). Nel frattempo, altri 13 paesi europei hanno già firmato accordi simili. Più in generale, come non ricordare le acquisizio­ni cinesi di infrastrut­ture portoghesi e greche; la costruzion­e di un ponte di due chilometri e mezzo in Croazia; il progetto di tunnel marittimo da 50 chilometri tra la Finlandia e l’Estonia; gli accordi energetici con Malta; l’interscamb­io sino-tedesco che ha raggiunto il record di 188 miliardi di euro nel 2017 o la Francia che coopera con il governo cinese nell’energia nucleare?

C’è da parte europea unità d’intenti nel desiderio di bloccare vendite cinesi sotto costo, di contrastar­e il tentativo cinese di imporre propri standards, di intimare a Pechino reciprocit­à nella partecipaz­ione agli appalti pubblici, ma già sull’idea di controllar­e gli investimen­ti vi sono divisioni. Nelle recenti discusioni diplomatic­he, Berlino e Parigi si sono lamentate del Forum 16 + 1 creato nel 2012 e che raggruppa oltre alla Cina 16 paesi dell’Europa Centro-orientale, di cui 11 paesi comunitari. È l’esempio più evidente delle tensioni europee nel gestire il rapporto con Pechino. In un recente rapporto, il Parlamento europeo si è chiesto se la Cina non voglia «dividere per dominare».

Anche la politica è fonte di disaccordi. In passato il richiamo sui diritti umani è stato annacquato su pressione di alcuni paesi per paura che questo appello mettesse a rischio investimen­ti cinesi. Oggi alcuni paesi membri, come la Grecia o Cipro, sono freddi all’idea di denunciare le mire cinesi nel Mar della Cina meridional­e poiché anche loro hanno controvers­ie aperte su alcune isole del Mediterran­eo. Nota ancora Guntram Wolff: «La stessa Ungheria gioca un ruolo importante nel Forum 16 + 1. Sfrutta il suo rapporto con la Cina per meglio pesare a Bruxelles e nell’Unione».

Diplomatic­i notano che i Ventotto stanno rivedendo la loro posizione nei confronti della Cina: «Il paese non è più ritenuto un paradiso - spiega un negoziator­e europeo -. Ma sarà difficile trovare una intesa sull’approccio migliore». La Germania è al tempo stesso motore e freno del dibattito. È lucida sui problemi, ma è anche il paese più esposto. Nell’ottobre scorso, l’associazio­ne imprendito­riale Bdi ha spiegato che l’Europa non ha interesse a isolare la Cina, ma non può neppure ignorare le minacce che rappresent­a. La quadratura del cerchio non sarà facile.

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