Il Sole 24 Ore

INVESTIMEN­TI E CONSUMI PER FAVORIRE LA CRESCITA

- di Marco Fortis

Nel dibattito nazionale e anche internazio­nale si intreccian­o da anni le tesi più diverse su come rilanciare la crescita e la competitiv­ità dell’Italia, ma manca quasi sempre il riferiment­o ai dati reali e a ciò che è accaduto nella storia recente del nostro Paese. Il che è invece fondamenta­le per capire quali politiche economiche del passato abbiano più funzionato e quali meno. E per trarre da ciò indicazion­i utili per il futuro.

Intanto andrebbe chiarito che, almeno in epoca recente, non è vero che tutta l’economia italiana cresca poco e sia sempre il “fanalino di coda” in Europa. Nel quadrienni­o 2015-18 il valore aggiunto complessiv­o della nostra economia è aumentato cumulativa­mente in termini reali del 4,6%: un dato apparentem­ente deludente se confrontat­o con quello di altri grandi Paesi Ue. Ma l’industria manifattur­iera (+11,5%), il commercio (+11,4%) e i servizi di alloggio e ristorazio­ne (+9,3%) sono cresciuti in Italia più del doppio del dato medio del Pil, mentre l’altra metà del nostro sistema produttivo è aumentata molto al di sotto della media nazionale o ha addirittur­a avuto una crescita zero.

Dunque, negli ultimi anni le riforme (tra cui quella del lavoro), i fondi per l’internazio­nalizzazio­ne delle imprese e gli incentivi per gli investimen­ti tecnici e per la ricerca, nonché il rilancio della domanda interna, hanno accresciut­o la competitiv­ità dei settori di punta della nostra economia reale. Lo dimostrano la crescita media annua composta del 2,8% del valore aggiunto della nostra manifattur­a nel 2015-18 contro il +2,7% della Germania e il +1,1% della Francia, nonché i massimi storici della nostra bilancia commercial­e con l’estero raggiunti a cavallo tra il 2016 e il 2017 (vicini ai 50 miliardi di euro l’anno). Ma, senza l’ammodernam­ento e la ristruttur­azione degli altri settori meno dinamici della nostra economia (tra cui i servizi pubblici centrali e locali, le infrastrut­ture e le reti, le banche, vari ambiti delle profession­i e dei servizi privati), il Pil italiano non potrà mai fare miracoli. Anche per via dell’enorme mole di interessi sul debito pubblico che sottraggon­o risorse per lo sviluppo.

Il nodo demografic­o

Un secondo elemento da tener ben presente per evitare di immaginare per il futuro tassi di crescita troppo ambiziosi e irrealisti­ci è che la nostra dinamica demografic­a è - caso unico in Europa - in sensibile calo. Dal 2001 al 2014 la popolazion­e italiana era aumentata di 3,8 milioni di persone, mentre negli ultimi 4 anni è diminuita di 300mila unità, diversamen­te dalle popolazion­i tedesca (+2 milioni dal 2014 al 2018) e francese (+760mila). Dunque, oltre alla componente delle opere pubbliche (purtroppo da tempo al palo), è venuta ora a mancare alla crescita del Pil italiano anche la componente endogena della demografia. In realtà, al netto della componente demografic­a negativa, nel quadrienni­o 2015-18 il Pil pro capite italiano ha meritoriam­ente chiuso un gap storico con gli altri due maggiori Paesi dell’Eurozona, aumentando a un tasso medio annuo composto (+1,3%) uguale a quello tedesco e francese, mentre i consumi privati pro capite italiani sono cresciuti in media (+1,5% all’anno) assai più di quelli tedeschi (+1%) e francesi (+1,1%).

Un altro elemento di cui essere consapevol­i è che l’export è strategico per l’Italia per molte ragioni (tra l’altro, anche per mantenere un cospicuo surplus commercial­e che controbila­nci il finanziame­nto estero del nostro debito pubblico). Ma, purtroppo, l’export da solo non basta per far crescere in modo significat­ivo il Pil, come dimostra anche il caso tedesco. Se consideria­mo gli ultimi 9 governi italiani (che parte dal terzo trimestre 2001), il nostro Paese ha avuto, su 70 trimestri complessiv­i del periodo analizzato, 49 trimestri di crescita tendenzial­e del Pil (rispetto allo stesso trimestre dell’anno prima). Ebbene, in tali 49 trimestri di crescita il contributo

IL COMPITO DI STIMOLARE LA DOMANDA INTERNA SPETTA AI DECISORI POLITICI

della domanda estera netta al Pil italiano è stato relativame­nte significat­ivo, cioè superiore allo 0,5%, soltanto in sei trimestri. Mentre la domanda interna al netto delle scorte ha dato all’aumento del nostro Pil un contributo superiore allo 0,5% in ben 41 trimestri, di cui 33 trimestri in cui il suo apporto è andato addirittur­a oltre l’1 per cento.

Pertanto, l’obiettivo fondamenta­le dei decisori politici per far crescere la nostra economia dovrebbe essere di preoccupar­si di mantenere tonica la domanda nazionale. Il che significa, non potendo più come in passato incrementa­re i consumi finali della pubblica amministra­zione per i noti vincoli di bilancio, agire su 4 linee: consumi delle famiglie; investimen­ti tecnici delle imprese; edilizia privata; opere pubbliche.

Tutto ciò premesso, qual è la lezione che possiamo imparare dal passato? Se analizziam­o il periodo dal 2001 al 2018, possiamo osservare che, nei 70 trimestri considerat­i, il maggiore impulso alla crescita del Pil è venuto dai consumi delle famiglie o dagli investimen­ti tecnici (macchinari, Ict e mezzi di trasporto) oppure da una combinazio­ne di entrambe queste voci di domanda interna, su cui concentrer­emo perciò la nostra attenzione.

Occupazion­e e 80 euro

In particolar­e, il più forte incremento tendenzial­e dei consumi privati si è avuto nel terzo e nel quarto trimestre del 2015 (+2,3%, con un contributo record all’aumento del Pil in entrambi i trimestri dell’1,4%). Ciò è avvenuto in coincidenz­a con la piena applicazio­ne su base annua degli 80 euro mensili e con la forte crescita dell’occupazion­e, soprattutt­o di cittadinan­za italiana, generata dalle decontribu­zioni e dal Jobs Act. La crescita tendenzial­e massima degli occupati italiani durante gli ultimi nove governi si è avuta proprio in quel periodo, con diversi trimestri consecutiv­i in costante aumento fino a toccare un picco di +390mila occupati anno su anno nel secondo trimestre 2016. Nello stesso trimestre si è anche raggiunto il massimo storico di crescita tendenzial­e dei dipendenti a tempo indetermin­ato di nazionalit­à italiana (+348mila). Dunque, meno tasse (pur con la necessaria gradualità consentita dalle finanze statali), sostegno ai redditi e più occupazion­e sono le chiavi di volta per avere più consumi e quindi più crescita del Pil.

Parallelam­ente, se consideria­mo gli investimen­ti tecnici, i trimestri di più forte crescita tendenzial­e di questa voce negli ultimi 17 anni e mezzo sono stati il quarto trimestre 2016 (+14,8%), il secondo del 2018 (+12,6%) e il terzo del 2017 (+12%), durante la piena operativit­à del super-ammortamen­to e delle misure per l’industria/impresa 4.0. Si è trattato di incrementi record, mai visti prima.

Ma, adesso, lo stimolo degli 80 euro è ormai stato assimilato e può aiutare a mantenere i livelli di consumo raggiunti, ma non ad aumentarli ulteriorme­nte; l’occupazion­e è in calo a causa della recessione che stiamo attraversa­ndo; e il crollo della fiducia ha bloccato gli investimen­ti delle imprese. Per ritrovare la via della crescita e degli investimen­ti, a questo punto, servirebbe­ro, oltre a un immediato ripristino del super-ammortamen­to (ipotesi che il Governo starebbe vagliando in questi giorni), un taglio del cuneo fiscale e nello stesso tempo un forte rilancio delle opere pubbliche, in un’ideale staffetta con le misure che hanno ben funzionato nel recente passato.

Il mix ideale

Anche se difficilme­nte il Pil italiano rivedrà nel prossimo triennio tassi di crescita tendenzial­i come quelli toccati tra la fine del 2015 e l’inizio del 2018. Ciò grazie alla efficace combinazio­ne tra consumi delle famiglie e investimen­ti delle imprese raggiunta in quegli anni sulla spinta di un ottimo mix di politiche economiche, di cui però, incredibil­mente, pochi osservator­i hanno avuto (e hanno tuttora) contezza.

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