La Scala stoppa i Sauditi: «Restituiamo i soldi»
Bocciato l’accordo raggiunto con l’Arabia Saudita e il loro ingresso nel Cda Tornano al mittente 3,1 milioni. Il sovrintendente Pereira rimane al suo posto
Il cda della Fondazione Scala ieri mattina ha respinto all’unanimità l’ipotesi di una collaborazione con i sauditi che prevedesse anche un loro ingresso nel cda.
Quel pasticciaccio brutto di Piazza della Scala, a Milano, si è chiuso con una bocciatura secca dell’accordo con il governo dell’Arabia Saudita a cui il sovrintendente del teatro scaligero, Alexander Pereira, stava lavorando dallo scorso dicembre.
Il cda della Fondazione Scala ieri mattina ha respinto all’unanimità l’ipotesi di una collaborazione con i sauditi, che prevedeva anche un loro ingresso nel cda come socio fondatore e ha deciso di restituire il denaro ricevuto lo scorso 4 marzo dal ministro della Cultura del governo saudita, il principe Badr bin Abdullah bin Mohammed Al Farhan. In tutto 3,1 milioni di euro sui 22 complessivi previsti nella trattativa, 15 dei quali (spalmati in cinque anni) per entrare come soci e sette per l’apertura di un conservatorio a Riad in collaborazione con l’Accademia scaligera.
Si chiude così, almeno per il momento, la controversa questione che nelle ultime due settimane ha visto un crescendo di veleni, polemiche e accuse reciproche. A partire dalle critiche a Pereira per aver gestito la faccenda senza informare il cda e le autorità interessate – culminate domenica scorsa nelle parole del presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, secondo il quale «in qualunque cda, a qualunque latitudine, questo comportamento avrebbe provocato il suo licenziamento». Accuse a cui Pereira ha replicato precisando di aver sempre tenuto informato chi di dovere sulle trattative in corso, compreso lo stesso Fontana, oltre al sindaco e al ministro dei Beni culturali Alberto Bonisoli. Né sono mancati strali tra il sindaco di Milano e il governatore lombardo.
Una vicenda, insomma, che puzza di scontro politico e di guerra delle poltrone. E che probabilmente ha a che fare più con la successione dell’attuale sovrintendente (il cui mandato scade, come quello del cda, nel febbraio del 2020), che con il problema dell’ingresso nel board della Fondazione di un governo estero assai discutibile in materia di rispetto dei diritti umani e di alleanze geopolitiche. Problema non superato infatti nemmeno con la proposta di far arrivare gli investimenti dalla compagnia petrolifera saudita Aramco – soluzione che probabilmente un socio di peso della Fondazione, l’Eni, un diretto concorrente, non avrebbe visto con favore.
Ufficialmente, tuttavia, la bocciatura ha ragioni di metodo e di merito. Come ha spiegato il sindaco di Milano Giuseppe Sala (che è anche presidente della Fondazione) non sono state rispettate le procedure previste dallo Statuto del Teatro che riguardano le donazioni e quelle che riguardano la nomina di nuovi soci fondatori. I fondi versati dal governo di Riad sono arrivati su un acconto di garanzia presso un notaio milanese e senza causali: irricevibili per la Fondazione. Nel merito, invece, il problema sollevato da alcuni membri del cda, ma anche da diversi esponenti politici e sindacali, è stato anche di opportunità, considerando le posizioni politiche dell’Arabia Saudita. Su questo punto, tuttavia, Sala ha precisato che non ci sono preclusioni nei confronti di Riad: «La cultura è uno strumento per tenere rapporti – ha detto –. A oggi si torna al punto zero. Vedremo se in futuro ci saranno altre possibilità di collaborazioni, ad esempio delle tournée, che saranno valutate dal cda». Una è già in programma per il 2020.
Di fondo, tutta questa vicenda ha gettato però più di un’ombra sul futuro della Scala: Pereira «rimane al suo posto», ha detto Sala, ma la sua conferma al termine del mandato, fino a qualche settimana fa data per probabile, sembra ora molto a rischio. Proprio ieri del resto i tre “saggi” del cda (Giovanni Bazoli, Albero Meomartini e Francesco Micheli) incaricati di selezionare la lista dei possibili successori, ha presentato al consiglio la short list che sarà poi consegnata alla socie- tà di cacciatori di teste Egon Zender, che verificherà le disponibilità degli interessati. I nomi sono quelli circolati nelle scorse settimane, tra cui Carlo Fuortes (Opera di Roma), Fortunato Ortombina (La Fenice di Venezia), Dominique Meyer (Staatsoper di Vienna) e Peter Gelb (Met di New York). Dalla conferma o meno di Pereira dipenderà anche il futuro modello economico del teatro che, dal suo arrivo nel 2014, aveva spinto su un aumento della produzione e dunque del bilancio, ricorrendo con maggiore decisione al sostegno dei privati.
Un modello che in questi anni ha trovato più di un oppositore all’interno del cda ed è in questa cornice che va letto lo scontro avvenuto sulla questione dei sauditi. Discusso sin dal suo arrivo al Piermarini, Pereira ha avuto in questi anni diversi avversari. Tra questi, il potentissimo direttore generale del teatro, Maria Di Freda, vero deus ex machina della Scala, che da anni ha in mano, oltre ai conti della Fondazione, anche i rapporti con i sindacati e con le istituzioni.
Temi, questi, che mettono in allarme i lavoratori, con i sindacati che non prendono posizione sulla vicenda, ma che chiedono alla Fondazione garanzie sul futuro del teatro e sulle risorse.