Il Sole 24 Ore

Comuni in crisi, soluzione con il fondo di solidariet­à

La sentenza 18/2019 colpisce solo i piani di riequilibr­io ancora sotto esame

- Pasquale Principato

La sentenza della Corte costituzio­nale n. 18 del 2019 (si veda il Sole 24 Ore dello scorso 15 febbraio) merita probabilme­nte un sintetico chiariment­o alla luce delle troppe voci allarmisti­che che si sono levate di recente sui suoi effetti.

La prima cosa da precisare è che la sentenza vieta tassativam­ente le anticipazi­oni di liquidità con ammortamen­to trentennal­e essendo consentiti solo i mutui per investimen­ti. Ciò vale per tutti i casi fatta salva l’ipotesi del riaccertam­ento straordina­rio dei residui, ipotesi eccezional­e e già esaurita. Le anticipazi­oni di liquidità altro non sono che la riedizione dei mutui a pareggio già banditi dall’ordinament­o degli enti locali nel 1976 con il primo decreto Stammati (divieto poi costituzio­nalizzato nell’articolo 119, sesto comma, della Costituzio­ne).

Qualcuno ha giustament­e paragonato le anticipazi­oni di liquidità ad una nuova forma di derivati pubblici poiché la norma dichiarata incostituz­ionale consentiva di spalmare in un arco temporale di trenta anni il disavanzo, prevedendo la possibilit­à, per ciascun anno, di stipulare prestiti. Tale ipotesi realizza, secondo il Giudice delle leggi, una «deroga permanente e progressiv­a al principio dell’equilibrio del bilancio».

La Corte costituzio­nale ha detto che, ai sensi dell’articolo 119, sesto comma, della Costituzio­ne «l’indebitame­nto debba essere finalizzat­o e riservato unicamente agli investimen­ti in modo da determinar­e un tendenzial­e equilibrio tra la dimensione dei suoi costi e i benefici recati nel tempo alle collettivi­tà amministra­te».

La seconda notazione riguarda l’efficacia della sentenza. Solo un numero limitato di Comuni è interessat­o dal procedimen­to ritenuto illegittim­o. Com’è noto, infatti, gli atti amministra­tivi si consolidan­o nel momento in cui il relativo procedimen­to si conclude positivame­nte e, quindi, a parte le situazioni che si trovano nella fase del contraddit­torio con la Corte dei conti per la rimodulazi­one temporale e quantitati­va del piano, i piani di riequilibr­io finanziari­o pluriennal­e già approvati sono intangibil­i. Ciò fermo restando che, per il futuro, non potranno essere gestiti disavanzi attraverso nuove anticipazi­oni di liquidità, che sono vietate, bensì solo attraverso adeguati accantonam­enti nel periodo di riferiment­o (un trentennio è un periodo comunque abbondante per un rientro senza immobilizz­are la vita dell’ente locale).

È evidente che la Corte costituzio­nale ha cercato di bloccare un meccanismo – che si è sviluppato con sempre maggiore problemati­cità a partire dal 2012 – che potrebbe veramente provocare un dissesto della finanza pubblica allargata. Fare prestiti per rimborsare debiti e prestiti pregressi costituisc­e effettivam­ente una pratica, non solo incostituz­ionale, ma anche contraria a qualsiasi elementare principio di buona amministra­zione.

Occorre considerar­e, poi, che proprio per dimensiona­re la responsabi­lità degli amministra­tori che ereditano tali situazioni ingovernab­ili, è assolutame­nte necessario «porre una cesura con il passato così da consentire ai nuovi amministra­tori di svolgere il loro mandato senza gravose “eredità”. Diverse soluzioni possono essere adottate per assicurare tale discontinu­ità, e siffatte scelte spettano, ovviamente, al legislator­e. [Ciò tenendo presente che] il perpetuars­i di sanatorie e situazioni interlocut­orie, oltre che entrare in contrasto con i precetti finanziari della Costituzio­ne, disincenti­va il buon andamento dei servizi e non incoraggia le buone pratiche di quelle amministra­zioni che si ispirano a un’oculata e proficua spendita delle risorse della collettivi­tà».

Nell’ultima parte della sentenza n. 18 del 2019 la Corte costituzio­nale dice esplicitam­ente che esistono altre soluzioni adottabili per salvaguard­are la situazione degli enti in predissest­o e in dissesto e che spetta al legislator­e individuar­e la più appropriat­a.

La soluzione più lineare è quella di utilizzare, per i pochi comuni che si trovano in una situazione aperta e che necessitan­o di un intervento immediato, il cosiddetto Fondo di solidariet­à.

È opportuno ricordare che il Fondo di solidariet­à sostituisc­e i trasferime­nti correnti e i trasferime­nti perequativ­i. E la sua denominazi­one non è casuale in quanto si sposa col federalism­o solidale di cui al titolo V della Costituzio­ne e alle logiche della legge n. 42 del 2009, la quale prevede, da un lato, la tendenzial­e permanenza dei tributi sul territorio e, dall’altro, un intervento solidarist­ico a carico dello Stato per le comunità economicam­ente più deboli.

Purtroppo, il Fondo di solidariet­à negli ultimi anni è stato profondame­nte depauperat­o e si è preferito far indebitare ulteriorme­nte gli enti che già sono in predissest­o o in dissesto. Questa è la pratica incostituz­ionale che la Corte, dopo vari ammoniment­i, ha finito per dichiarare espressame­nte illegittim­a di fronte all’ennesimo procrastin­arsi del momento di rientro dal disavanzo.

In fondo, mentre nel rispetto dei vincoli europei lo Stato può disciplina­re il ricorso al credito secondo gli indirizzi della propria politica economica, la Consulta ricorda che l’articolo 119, sesto comma, della Costituzio­ne non può essere aggirato con artifici legislativ­i di corto respiro.

Consiglier­e della Corte dei conti

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