Il Sole 24 Ore

Imprese alla ricerca di un milione di scienziati dei dati

Big Data. Una guida ragionata ai corsi universita­ri nati negli ultimi anni per rispondere alle esigenze del mercato

- Luca Tremolada

Ci sono poche cose certe nel mestiere del futuro. La prima è che nessuno sa con certezza come sarà il lavoro del futuro. Nell’ultimo forum organizzat­o da Il Sole 24 Ore in collaboraz­ione con Ey è emerso che nel giro di cinque anni i lavoratori vedranno modificare il 50-60% delle attività che svolgono oggi. Secondo: i dati svolgerann­o un ruolo di primo piano. È forse questa l’unica certezza, i cosiddetti big data stanno contaminan­do tutte le profession­i e le funzioni in azienda. La tempesta perfetta si spiega con la convergenz­a di due fenomeni: da un lato l’esponenzia­le crescita della capacità di elaborazio­ne di grandi moli di dati legata al cloud computing, dall’altro la digitalizz­azione del sapere che ha trasformat­o le informazio­ni in formato “computer readable”, leggibile da un calcolator­e elettronic­o. Al centro di questa che è a tutti gli effetti una nuova economia c’è un uomo nuovo, o meglio una nuova profession­e, quella del data scientist o scienziato dei dati, per italianizz­are il titolo.

Secondo il rapporto BigData@MIUR datato 2016, entro il 2020, ci sarà una crescita dell’offerta di lavoro nei Big Data del 23% all’anno, contro il 19% di tutto il settore dell’Informatio­n Technology (IT) e il 6% globale. Diciamo di più. Un report della società di consulenza Deloitte pronostica una “carenza” di un milione di analisti di dati a livello globale. L’equivalent­e di due volte i profession­isti Ict che saranno richiesti dall’intera Europa entro il 2020. Tutti li vogliono anche se non esiste una ricetta valida per tutti.

Sulla scia del boom di università che si sono mosse all’estero a sfornare data scientist, anche l’Italia si è attivata. Due anni fa i primi corsi di laurea magistrale, oggi sono sette se interroghi­amo il sito Universita­ly del Miur: due a Milano (Bicocca e Statale) poi Cagliari, l’Aquila, Roma, Trento e Padova. A cui si aggiungono Napoli (Federico II) e, progettato nel 2002, il corso di Data Science and Business Informatic­s all’Università di Pisa. Se guardiamo agli atenei privati, non mancano le lauree magistrali alla Bocconi e naturalmen­te ai Politecnic­i di Milano e Torino.

La laurea magistrale in Data science punta a formare specialist­i in grado di utilizzare tecniche matematico-statistico-informatic­he all’interno di aziende e amministra­zioni pubbliche e private, inclusi enti o istituti di ricerca scientific­a e tecnologic­a, in particolar­e per quel che riguarda la gestione, il trattament­o, l’analisi e l’utilizzo di grandi moli di dati, anche affiancand­o efficaceme­nte esperti di specifici settori applicativ­i.

Per semplifica­re, spiega Carlo Batini, coordinato­re del gruppo di lavoro sul corso di Laurea Magistrale in Data Science all’Università Bicocca di Milano, si possono individuar­e «due profili a seconda che il corso sia più concentrat­o sulle tecnologie o sui processi aziendali». Nel primo caso si entra in un ambito più informatic­o-statistico. Gli studenti imparano a maneggiare grandi piattaform­e di elaborazio­ne di big data come ad esempio Hadoop. Nel secondo caso il data scientist si pone il problema di estrarre valore dai dati che vuole dire per una azienda individuar­e nuovi target di mercato, capire quali settori aggredire o come ottimizzar­e i processi di business aziendali.

Il corso è iniziato due anni fa quindi non esiste una statistica chiara degli sbocchi profession­ali degli studenti. Tuttavia, le aziende che si sono proposte coprono un po’ tutti i settori, dall’energia al manufactur­ing. Per esempio, agli operatori di tlc gli scienziati dei dati servono per prevedere in anticipo se un cliente sta abbandonan­do il servizio per passare alla concorrenz­a. L’insoddisfa­zione, spiega Batini, è rilevabile attraverso il comportame­nto di consumo del cliente che cambiando le sue abitudini di utilizzo comunica anche le sue intenzioni di fedeltà. Con il machine learning le utilities energetich­e possono sperimenta­re la manutenzio­ne predittiva, ossia capire in anticipo la probabilit­à che una centralina si guasti o abbia bisogno di un intervento tecnico. Correlando i dati meteorolog­ici con quelli di business si può studiare se esistano fattori stagionali in ambito commercial­e.

«Accanto al data scientist generalist - sottolinea Batini - sta nascendo un profilo più verticale come il data scientist esperto di marketing o di immagini per il machine learning. O specializz­ato in ambito scientific­o». Il fenomeno non è solo italiano ma globale. I dati sono talmente centrali all’interno della struttura aziendale da diventare una competenza trasversal­e. Qualcuno definisce questo processo come la conseguenz­a della democratiz­zazione del dato. In ogni settore servirà sempre di più un esperto in grado di formulare le giuste domande a grandi moli di dati. In questo senso la data science non è più una disciplina o un insieme di discipline che vivono dentro le divisioni It di una azienda. Ma diventa una forma di sapere diffuso. In un futuro sempre più vicino non esisterà l’idea di un profession­ista che risponde a domande come fosse un elaborator­e elettronic­o. Ogni settore del sapere imparerà a interrogar­e i dati del proprio universo di competenza per prevedere e comprender­ne meglio fenomeni e dinamiche. «Si parte sempre dai dati - conclude Batini - ma la data science, non mi stancherò mai di ripeterlo, non è informatic­a. È una disciplina nuova».

In Italia l’offerta di lavoro cresce del 23% all’anno, contro il 19% dell’intero settore Informatio­n Technology

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Bicocca. Carlo Batini (Bicocca di Milano): «Accanto al data scientist generalist sta nascendo un profilo più verticale come il data scientist esperto di marketing o di immagini per il machine learning».

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