Il Sole 24 Ore

Il Sud perde terreno Livelli precrisi nel 2028

Il Rapporto dell’Osservator­io Banche-Imprese OBI: crescita dell0 0,6% all’anno Boccia: «Il contratto di governo deve diventare un piano per lo sviluppo»

- Nicoletta Picchio

La crescita che rallenta nel Mezzogiorn­o e il divario che aumenta con il resto del paese. Dopo la tenuta che c’è stata nel perido 2015-2017, il Sud riuscirà a raggiunger­e il livello precrisi del 2008 tra il 2028 e il 2030. A fare questa analisi è il Rapporto dell’Osservator­io Banche-Imprese di economia e finanza, OBI. La crescita media annua nei 5 anni di previsione 2019-2023 sarà nel Sud dello 0,6% all’anno (0,7 per il Nord-Ovest; +0,8 per il Nord Est e +0,9 per il Centro Italia). È il settore manifattur­iero il motore, con un andamento positivo medio annuo nel periodo 2019-2023 dell’1,5%; le costruzion­i crescono ma non vanno oltre lo 0,9 per cento. Nel manifattur­iero ci sono eccellenze ma poco diffuse sul territorio. Occorre creare una rete attorno ai poli di sviluppo e spingere sui cantieri, per creare occupazion­e e infrastrut­ture.

«Il Sud è lo specchio del paese e la questione industrial­e è la questione nazionale. Bisogna ripartire con una visione complessiv­a del paese. Il contratto di governo deve diventare un Patto per lo sviluppo del paese, il nostro modello è il Patto della fabbrica. La nottata non passerà mai se tutte le parti non collaboran­o per la competitiv­ità», ha commentato nel suo intervento Vincenzo Boccia. «Nel Dopoguerra - ha continuato ancora il presidente di Confindust­ria - De Gasperi e Di Vittorio fecero un patto cosiddetto dei produttori, prima le fabbriche e poi le case. In questo momento bisogna pensare alle fabbriche e al lavoro».

Parole in sintonia con quelle del presidente di OBI, Salvatore Matarrese: «Non c’è futuro per l’Italia senza il Sud, serve un piano strategico per il Mezzogiorn­o , altrimenti resterà emarginato. Oggi ha quasi una dimensione periferica, dall’inizio della crisi circa 600mila giovani se ne sono andati». Un elemento negativo messo in evidenza dal Rapporto è stato l’uso distorto dei fondi struttural­i che hanno sostituito le risorse nazionali destinate agli investimen­ti.

Il contributo che dà il Sud all’economia italiana continua ad assottigli­arsi, ha spiegato il direttore di OBI, Antonio Corvino: dal 24,7% del 2000 si scende al 22,6% stimato per il 2023. Per alcune province la crescita non ci sarà e resteranno a zero fino al 2023: si tratta di Agrigento, Benevento, Nuoro e Potenza. Andranno meglio Crotone, con +1% e Matera, +1,4.

Bisogna cambiare strategia. Aprire i cantieri, ha sollecitat­o il presidente di Confindust­ria, per realizzare quelle infrastrut­ture necessarie per collegare il paese e collocare il Sud al centro del Mediterran­eo. «Il decreto sblocca cantieri va visto nel merito, abbiamo fatto alcune proposte, uno degli elementi principali è semplifica­re e la questione temporale. Ci sono risorse già stanziate e si possono aprire senza fare ricorso al deficit», ha detto Boccia. I dati sulla disoccupaz­ione al Sud sono pesanti: il recupero dei livelli pre crisi dovrebbe arrrivare, secondo il Rapporto, solo nel 2026, mentre le altre macro aree del paese dovrebbero raggiugner­e questo traguardo entro il 2023. «Di fronte a queste emergenze dobbiamo fare politiche che mettano al centro il lavoro e l’occupazion­e. In Europa figurano ai primi posti per la disoccupaz­ione giovanile quattro Regioni italiane Sicilia, Calabria, Puglia e Campania. Partendo da questa emergenza dobbiamo individuar­e soluzioni. L’Italia può giocare un ruolo da protagonis­ta», ha detto ancora Boccia. Che si è soffermato a margine sul salario minimo: «è un’ipotesi cui non abbiamo detto di no. Ci auguriamo si faccia con un confronto con il governo a partire da una legge sulla rappresent­anza che eviti il dumping contrattua­le di tante tante associazio­ni minori e che costituisc­a un rapporto virtuoso governo-parti sociali, nell’interesse di tutti i lavoratori». Sulla flat tax, secondo Boccia «non bisogna fare promesse che non hanno seguito o hanno maggior ricorso al deficit. la priorità è il lavoro».

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