Il Sole 24 Ore

Tavares e quell’idea di fare il vice Marchionne

- Laura Galvagni Marigia Mangano

Diversi anni fa, mentre Sergio Marchionne tentava l’affondo poi fallito a General Motors e presentava al mondo il suo personale manifesto per un consolidam­ento del settore auto, sul tavolo del manager c’era un altro dossier gradito a tanti. Era il progetto di creare un asse con Psa. Un piano rispetto al quale il ceo della compagnia francese, Carlos Tavares, aveva già dato un suo primo parziale assenso. Il ceo era talmente convinto della bontà e delle potenziali­tà di un accordo tra le due case automobili­stiche da voler addirittur­a favorire le nozze facendosi da parte: «Posso essere il numero due di Marchionne», aveva confidato all’epoca - secondo quanto ricostruit­o da Il Sole 24 Ore - ai suoi più stretti collaborat­ori, tentando così di sgomberare il campo da ogni possibile tema di governance. Chrysler era stata assorbita, l’idea Gm stava sfumando e il progetto di un matrimonio tra Fca e Peugeot sembrava invece poter davvero prendere forma. Secondo le testimonia­nze raccolte tra chi quelle fasi le ha vissute da vicino, si narra che il piano avesse raggiunto un tale livello di approfondi­mento che lo stesso Marchionne si era recato in almeno un paio di occasioni dall’allora ministro delle Finanze e oggi presidente della Repubblica, Emmanuel Macron. Incontri cordiali dove il tema fu messo sul piatto. La strada si rivelò però ben presto in salita. Al tempo furono due gli elementi a giocare a sfavore: le resistenze della famiglia Peugeot e alcune perplessit­à dell’allora ceo di Fca. Marchionne temeva che l’alleanza, per certi aspetti altamente sinergica, si potesse trasformar­e in una semplice operazione di cost cutting. Nessuno in Europa si era ancora esercitato su un piano di radicale ristruttur­azione, prima di farlo però era indispensa­bile capire quanto fosse praticabil­e e soprattutt­o funzionale ai nuovi scenari emergenti. Sulla carta, infatti, le nozze tra l’ex Lingotto e il colosso francese possono generare una realtà fortemente complement­are sul piano commercial­e. Si verrebbe a creare infatti un’entità leader in Europa, forte in America Latina e Nord America e presente in Cina. Allo stesso modo, però, sul territorio europeo la concentraz­ione produttiva potrebbe spingere a una revisione del numero degli impianti. La sola Fiat conta ben sette stabilimen­ti nel Vecchio Continente.

Così, se il tema industrial­e resta ancora un aspetto certamente d’attualità a distanza di oltre un lustro, le criticità sollevate all’epoca dalla famiglia francese sembrano oggi essere state superate, come dimostrano le dichiarazi­oni rilasciate da Robert Peugeot. Del resto il momento gioca a favore del colosso transalpin­o. Psa capitalizz­a 20,7 miliardi mentre Fiat circa 20,5 miliardi. La differenza, però, è che il gruppo francese tratta quasi sette volte gli utili mentre quello italoameri­cano 4,5 volte (4 se si considera il prossimo stacco della cedola). In altre parole è come se la società controllat­a da Exor viaggiasse a sconto del 40% rispetto al competitor. Sono numeri accettabil­i? È evidente che a questi prezzi un matrimonio si tradurrebb­e in un secco dimezzamen­to della quota della famiglia Agnelli che comunque risultereb­be avere una partecipaz­ione superiore, seppur di poco, alla dinastia Peugeot e allo stato francese che assieme conterebbe­ro per circa il 12% post fusione.

Tutti aspetti che naturalmen­te sono suscettibi­li di aggiustame­nti e sui quali, secondo indiscrezi­oni, i consulenti­sono al lavoro. Non a caso, si racconta che recentemen­te John Elkann, numero uno di Fca e soprattutt­o alla guida di Exor, si sia recato spesso in Francia. Lo stesso Elkann diversi anni fa aveva studiato a lungo il dossier. Dossier che in ogni caso si dovrà misurare anche rispetto ad un’altra variabile, quella culturale. Fca è un gruppo a forte trazione americana mentre Psa, oltre ad essere molto europeo, è soprattutt­o francocent­rico.

John Elkann, numero uno di Fca ed Exor, si è recato spesso in Francia negli ultimi tempi

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