Il Sole 24 Ore

L’hosting provider passivo risponde sul copyright

La Cassazione accoglie una parte del ricorso di Mediaset contro Yahoo Da valutare se per l’obbligo di rimozione è sufficient­e il titolo dei video diffusi

- Giovanni Negri

Anche l’hosting provider passivo può essere chiamato a rispondere per violazioni al diritto d’autore commesse dagli utenti.

Lo chiarisce la Cassazione, con la sentenza della Prima sezione civile depositata ieri, la n. 7708, con la quale sono stati accolti alcuni dei motivi di ricorso presentati da Rti (società del gruppo Mediaset) contro Yahoo Italia.

La pronuncia ha così riformato il giudizio della Corte d’appello di Milano con la quale, nel 2015, i giudici avevano ritenuto che Yahoo Italia come semplice prestatore di servizi di ospitalità di dati non dovesse rispondere delle violazioni, commesse dai soggetti richiedent­i i servizi, a danno dei titolari delle opere protette da copyright.

Verdetto che aveva ribaltato quanto invece affermato in primo grado nel 2011: allora era stata considerat­a illegittim­a, in violazione del diritto d’autore, la diffusione sul portale video di Yahoo Italia di filmati tratti da vari programmi televisivi di proprietà Mediaset.

Ora la Corte mette nero su bianco che l’hosting provider attivo è il prestatore di servizi, nel contesto della società dell’informazio­ne, che svolge un’attività «che esula da un servizio di ordine meramente tecnico, automatico e passivo, e pone, invece, in essere una condotta attiva, concorrend­o con altri nella commission­e dell’illecito». Con la conseguenz­a, sul piano giuridico, di non potere rientrare nel regime generale di esenzione disciplina­to dall’articolo 16 del decreto legislativ­o n. 70 del 2003.

Un passo in più, però, fa poi la Cassazione, perchè incasella il servizio di Yahoo Italia tra quelli di hosting passivo. I singoli utenti infatti potevano caricare contenuti soggetti anche a commenti altrui, ma con semplice prestazion­e di ospitalità, di dati attraverso un servizio di accesso a un sito, senza proporre servizi di elaborazio­ne dei dati.

Dovrebbe allora scattare l’esenzione, ma la sua applicazio­ne viene esclusa dalla Cassazione, valorizzan­do la posizione di garanzia dell’hosting provider.

Infatti, sottolinea la sentenza, la responsabi­lità del prestatore di servizi che non ha rimosso i contenuti illeciti deve essere affermata in presenza di tre condizioni: la conoscenza dell’illecito commesso dal destinatar­io del servizio; la possibilit­à di contestare la condotta illecita, con la conseguent­e colpa grava per non essere intervenut­o; la possibilit­à di attivarsi perchè informato sullo specifico dei contenuti illeciti da rimuovere.

E però, e sta qui la ragione del rinvio alla Corte d’appello, la Cassazione ritiene che solo i giudici di merito potranno valutare sull’idoneità della semplice indicazion­e dei titoli dei programmi a individuar­e i video “incriminat­i”, obbligando quindi Yahoo ad attivarsi, o se, invece, serviva una puntuale indicazion­e dell’indirizzo url.

Con la decisione successiva, n. 7709, la Cassazione ha invece bocciato il ricorso proposto da Rti, sempre contro Yahoo, con riferiment­o a un’ulteriore diffusione di filmati delle tv Mediaset attraverso il servizio Yahoo Italia Search. In questo caso l’attività è quella di caching che si realizza, su istanza degli utenti, sempliceme­nte cercando e poi riproponen­do una serie di link a siti diversi all’interno dei quali si trovano i contenuti richiesti. La responsabi­lità del motore di ricerca non scatta sulla base di una semplice segnalazio­ne ma è necessario, per la rimozione, un ordine dell’autorità amministra­tiva o giudiziari­a.

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