Crisi bancarie, bocciata la linea Ue
Il Tribunale Ue: l’intervento del Fondo interbancario non era aiuto di Stato Patuelli (Abi): la Vestager si dimetta e la Commissione rimborsi i risparmiatori Ha prevalso la linea sostenuta sin dall’inizio dalla Banca d’Italia
Il Tribunale Ue di primo grado ha annullato la decisione della Commissione che nel 2015 aveva impedito l’intervento del Fondo interbancario di garanzia nel salvataggio di Banca Tercas in quanto aiuto di Stato. La copertura del buco di bilancio di Tercas da parte del Fondo era una condizione posta dalla Popolare di Bari per ricapitalizzare Tercas. Secondo il Tribunale la Commissione non ha dimostrato né che la decisione del Fondo fosse imputabile allo Stato né che le risorse fossero pubbliche, accogliendo così la posizione sostenuta da Bankitalia sin dall’inizio. Il presidente dell’Abi, Patuelli, chiede le dimissioni della commissaria alla Concorrenza, Vestager, e il rimborso dei risparmiatori.
Da tempo il ruolo della Commissione europea in tema di salvataggi bancari è al centro di discussione e di proposte di modifica della normativa europea. E suona come un ulteriore motivo di critica la bocciatura decretata dal Tribunale Ue della decisione della Commissione di qualificare come aiuto di Stato l’intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi per il salvataggio della Banca Tercas.
Anzitutto, la Commissione gode di un’ampia discrezionalità nell’applicazione delle norme europee in materia di aiuti di Stato. Dopo la crisi finanziaria del 2008 una Comunicazione interpretativa aveva aperto la strada a salvataggi bancari con iniezione di risorse pubbliche per importi pressoché illimitati. L’Italia non utilizzò questa finestra, chiusasi nel 2013 con una nuova Comunicazione della Commissione che ha posto criteri molto più restrittivi.
Tra l’altro la nuova Comunicazione conteneva già un avvertimento: i fondi nazionali di garanzia dei depositi possono costituire aiuti di Stato anche se provengono dal settore privato «nella misura in cui sono soggetti al controllo dello Stato e la decisione relativa all’utilizzo dei fondi è imputabile allo Stato» (par. 63). Proprio in base a questi criteri nel 2015 la Commissione ha emanato la decisione sul caso Tercas ora annullata.
La Comunicazione del 2013 codificava anche il principio del burden sharing, cioè della partecipazione alle perdite della banca non solo degli azionisti, ma anche, a certe condizioni, degli obbligazionisti.
La Comunicazione del 2013 è ora richiamata in più punti dallo stesso decreto legge per il salvataggio della Banca Carige (d.l. n. 1/2019) e condiziona la possibilità dello Stato italiano di concedere la garanzia sulle passività di nuova emissione e di attuare misure di sostegno diretto dello Stato.
La normativa europea del 2013-2014, che ha istituito il sistema di vigilanza unico delle banche europee facente capo alla Bce e introdotto nuove regole per la risoluzione delle crisi bancarie, ha confermato il ruolo centrale della Commissione europea negli interventi di salvataggio. E ciò sempre per minimizzare l’impiego di risorse pubbliche e di non distorcere la concorrenza.
Per esempio, la decisione se una banca in dissesto o a rischio di dissesto deve essere liquidata, oppure può essere sottoposta alla procedura di risoluzione che consente la continuità delle funzioni aziendali non spetta solo al Comitato di risoluzione unico istituito a livello europeo. Infatti, la Commissione europea può opporsi al programma di risoluzione adottato dal Comitato all’esito di un procedimento che coinvolge anche la Bce. Il veto può essere superato solo da una decisione politica del Consiglio, istituzione europea composta da ministri nominati da tutti gli Stati membri. Anche interventi di sostegno degli Stati come la ricapitalizzazione precauzionale, alla quale ha fatto ricorso nel 2016 Mps, richiede un avallo della Commissione.
In questo scenario la sentenza fissa alcuni paletti, censurando una decisione della Commissione che fin dall’inizio, secondo gli addetti ai lavori, conteneva forzature. In fondo, se le banche sono imprese speciali, perché custodiscono il risparmio privato e perché in caso di dissesto possono generare instabilità nell’intero sistema, anche le regole sugli aiuti di Stato richiedono discernimento e cautela da parte di chi le applica.