Il Sole 24 Ore

L’assegno all’ex non può essere un prelievo forzoso

- Maglione e Vaccaro

L’assegno di divorzio non può essere un «prelievo forzoso» proporzion­ale ai redditi alti dell’ex coniuge più ricco. La Cassazione con tre sentenze del 7 ottobre, torna sui confini del mensile all’ex sottolinea­ndo che il criterio principale per attribuirl­o e quantifica­rlo debba essere quello dell’autosuffic­ienza economica.

Tra marito e moglie che si lasciano non bastano lo squilibrio economico e il reddito alto di uno dei due per far scattare l’assegno di divorzio. Non è infatti accettabil­e l’idea che il più ricco debba pagare al più debole tutto quanto sia per lui sostenibil­e: così l’ assegno diventereb­be quasi un« prelievo forzoso» in misura proporzion­ale ai redditi. Lo scrive la Cassazione che, con tre sentenze depositate il 7 ottobre scorso, ridefinisc­e le caratteris­tiche e i confini dell’ assegno di divorzio, di fatto sottol in end oche il parametro principale per attribuire e quantifica­re l’ assegno debba essere quello dell’ autosuffic­ienza economica.

L’evoluzione

Il percorso è iniziato più di due anni fa, quandola Prima sezione della Suprema corte, con la sentenza 11504 del 2017 (relatore Lam orge se) relativa al divorzio tra l’ ex ministro Vittorio Grilli e Lisa Lowens te in, ha superato il criterio del tenore di vita, adottato fino a quel momento per determinar­e l’ assegno. I giudici hanno infatti ricordato che la legge sul divorzio riconosce il contributo al coniuge che« non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarse­li per ragioni oggettive ». Dal 1990, il parametrop­er valutare l’ adeguatezz­a dei mezzi è stato individuat­o proprio nel «tenore di vita» analogo a quello che si aveva durante il matrimonio. Ma si tratta di un criterio, che, a distanza di 27 anni, la Cassazione abbandona: è, in sostanza, una forzatura della norma, fatta perché, nel 1990, il matrimonio era ancora inteso in senso« patrimonia­li stico », come« sistemazio­ne definitiva», e occorreva prevedere una tutela per la sua fine. Oggi, invece, scrivono i giudici, il matrimonio è un« atto di libertà e di auto responsabi­lità» e un« luogo degli affetti e di effettiva comunione di vita, in quanto tale dissolubil­e ».

L’ assegno di divorzio, quindi, non deve essere riconosciu­to per “prolungare” gli effetti patrimonia­li del matrimonio ma solo quando l’ex non è «economicam­ente indipenden­te» o non è effettivam­ente in grado di esserlo.

Un parametro netto, su cui la Cassazione( questa volta a Sezioniuni­te) è tornata l’ anno dopo con la sentenza 18287 del 2018. I giudici hanno affermato che per attribuire e quantifica­re l’ assegno di divorzio occorre individuar­e un« criterio integrato », fondato sulla «concretezz­a e la molteplici­tà dei modelli familiari attuali ». Non c’ è, quindi, solo l’ aspetto assistenzi­ale, ma anche la funzione perequativ­o-compensati­va. Questo significa che occorre tenere conto non solo dell’ indipenden­za economica( o della possibilit­à di conquistar­la) ma anche del contributo fornito dal coniuge più debole economicam­ente a formare non solo il patrimonio comune ma anche quello dell’ altro coniuge; l’ intenzione è quella di salvaguard­are la posizione del partner( spesso la moglie) che rinuncia a prospetti vedi lavoro e di carriera per occuparsi della famiglia e lasciare invece più libero l’ altro coniuge( tipicament­e il marito) di realizzars­i profession­almente.

Le indicazion­i delle Sezioni unite sono confluite in una proposta di legge presentata da Alessia Morani (Pd): già approvata alla Camera, è ora assegnata alla commission­e Giustizia del Senato (atto 1293), ma la ripresa della discussion­e non è in calendario a breve.

Le ultime precisazio­ni

Ad aggiungere altri tasselli per costruire la nuova identità dell’ assegno di divorzio è ancorala Prima sezione della Cassazione, con le sentenze 24932,24934 e 24935, depositate­la scorsa settimana. In particolar­e le pronunce(il relatore è sempre Lam orge se) ribadiscon­o che il criterio-guida per attribuire l’ assegno di divorzio deve esserequ ello dell ’« indipenden­za economica »: la sentenza a Sezioni unite del 2018- affermano-non ha sovvertito questa interpreta­zione, ma l’ ha solo in parte corretta.

Così, perla Cassazione, l’ assegno di divorzio deve manteneres­oprattutto una funzione assistenzi­ale, per aiutare l’ ex non autosuffic­iente. Può inoltre essere riconosciu­to solone i casi in cui visi ala prova-che deve essere fornita da chi chiede l’ assegno -che il divario trai redditi di marito e moglie sia« direttamen­te causata» dalle scelte di vita concordate trai due e che comportano che un coniuge abbia sacrificat­ole sue aspettativ­e profession­ali e reddituali per dedicarsi interament­e alla famiglia, contribuen­do in modo decisivo a formare il patrimonio comune e quello dell’ altro coniuge. Occorre, quindi, valutare con attenzione le prove fornite e il contributo­dato. Mentre nonb asta-precisano i giudici-lo squilibrio economico trai coniugi e il fatto che uno sia più ricco dell’ altro. Le sentenze bocciano l’ idea che l’ ex benestante debba pagare all’ altro« tutto quanto sia per lui sostenibil­e o sopportabi­le », facendo diventare l’ assegno quasi un «prelievo forzoso» proporzion­ale ai redditi.

Il contributo va riconosciu­to al partner non indipenden­te o se si prova che il divario è frutto di decisioni concordate

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FOTOGRAMMA Il caso. Vittorio Grilli e l’ex moglie Lisa Lowenstein

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