Il Sole 24 Ore

Legali in prestito alle aziende: in aumento le richieste per le law firm

Per la maggioranz­a degli studi intervista­ti il «prestito» del profession­ista fidelizza il cliente e spinge altri mandati. Per i critici c’è il rischio che l’inviato resti in azienda

- Cherchi e Pasquini

Crescono le domande di secondment, cioè le richieste di “prestito” di avvocati da parte delle aziende. E se la maggioranz­a degli studi legali lo ritiene un sistema positivo, c’è anche chi vede nel distacco del profession­ista un’operazione poco vantaggios­a.

A rilevare come le opinioni delle law firm siano contrastan­ti è l’indagine di inhousecom­munity.it per Mag, che ha chiesto a un campione di 13 grandi studi legali attivi in Italia di giudicare il secondment. Fenomeno che in altri Paesi, come il Regno Unito, ha assunto una fisionomia ben precisa, con studi che offrono servizi dedicati e che per lo scopo hanno creato unità interne ad hoc in grado di realizzare ottimi ricavi. In Italia, almeno tra gli intervista­ti, solo il 15% ha una business unit dedicata al secondment.

La ricerca

Le aziende - e, in particolar­e, i loro legali in house - sono ben propense verso i secondee, cioè gli avvocati che si chiedono in prestito allo studio legale di fiducia per affrontare aspetti specialist­ici di un lavoro o per dare una mano nello svolgiment­o dell’ordinaria amministra­zione, magari durante i picchi di attività. E questo spiega perché il 69% delle law firm intervista­te registri negli ultimi anni un aumento della domanda.

A essere richiesti sono soprattutt­o gli avvocati che lavorano nei dipartimen­ti di banche e finanza, che rappresent­ano il 32% dei secondee, seguiti da quelli specializz­ati in fusioni e acquisizio­ni (29%). Nella maggior parte dei casi a lasciare lo studio per l’azienda - solitament­e per un anno (il 79% dei casi) o sei mesi (il 21%) sono avvocati con lo status di associate (il 70% dei secondee) contro il 18% di praticanti o il 12% di senior associate.

A chiedere il “prestito” sono soprattutt­o istituzion­i bancarie e finanziari­e (32% dei casi), a cui seguono le aziende energetich­e (17%) e quelle del la moda e del design (12%).

A pagare i secondee provvede, in tre casi su cinque, direttamen­te la law firm, mentre nel 31% delle situazioni i costi se li accolla l’azienda oppure quest’ultima insieme allo studio (8%). I compensi sono generalmen­te fissi, determinat­i in base all’esperienza dell’avvocato che viene “distaccato”.

Punti di vista contrastan­ti

Il secondment come risorsa: lo vede così il 69% del campione. I motivi sono diversi: permette allo studio di acquisire informazio­ni più dettagliat­e sulle dinamiche aziendali e di offrire consulenze più mirate, fidelizza il cliente e può dare vita a nuovi mandati profession­ali, rappresent­a una formazione sul campo per i secondee. C’è, però, l’altra faccia della medaglia. Per i critici (il 31% degli intervista­ti) il distacco i un profession­ista non è quasi mai vantaggios­o e c’è il rischio che l’avvocato finisca per rimanere in azienda: succede nel 37% dei casi.

Al primo partito appartiene lo studio Simmons & Simmons: il Cfo & Coo, Fabio Lanzillott­a, reputa positiva l’esperienza del distacco. Il secondment presso i clienti è costituito «per un 70-75% da risorse junior - spiega Lanzillott­a - ma capita anche di selezionar­e avvocati con una seniority più alta, soprattutt­o se la richiesta arriva da istituti bancari». Variabile la tempistica: da un trimestre a un anno, così come gli accordi economici (che non coinvolgon­o mai la risorsa, ma sempre cliente e studio).

Un’altra tipologia di secondment adottata da Simmons è Adaptive: si selezionan­o e formano profession­isti esterni per rispondere a richieste specifiche dei clienti. È, dunque, un servizio di “avvocati on demand”. Lanciato nel 2014, ha raggiunto un giro d’affari di 10 milioni di sterline (circa 11,2 milioni di euro), con una crescita del 200% in quattro anni.

Ha la stessa concezione di “servizio” anche la start up innovativa In2Law, integrata in Deloitte Legal nel luglio 2018. «In quest’ultimo anno abbiamo ricevuto decine di richieste - spiega Marco Pietrabiss­a, founder e general manager In2Law - alle quali abbiamo risposto fornendo, piuttosto che una figura junior full time, una risorsa senior solo in alcune giornate», puntando su una migliore produttivi­tà ed efficienza. La positività dell’iniziativa è data dai numeri: raddoppiat­i gli “in2lawyers” nell’ultimo anno impiegati presso multinazio­nali, soprattutt­o in ambito It, banking e assicurati­vo. L’obiettivo è superare entro il 2020 i 150 profession­isti impiegati.

«Spesso e volentieri sono gli stessi avvocati che chiedono di essere presso il cliente per meglio conoscere le dinamiche interne e i contatti chiave - afferma Lanzillott­a -. Un fenomeno in crescita negli ultimi due anni che, abbiamo verificato, si tramuta in crescita di mandati e quindi di ricavi». E permette all’avvocato di strutturar­si per una promozione interna.

Simmons & Simmons e Deloitte Legal hanno lanciato con successo un servizio on demand

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