Il Sole 24 Ore

Licenziame­nto ritorsivo, servono prove specifiche

Il lavoratore colpito deve dimostrare che è motivo unico e determinan­te Davanti alla contestazi­one dell’atto illecito il datore deve provare la giusta causa

- Pasquale Dui

Il lavoratore che sostiene di essere vittima di un licenziame­nto ritorsivo deve portare prove specifiche dell’intento del datore, come ragione unica e determinan­te del recesso stesso. Lo ha ribadito la Cassazione nella sentenza 23583 del 23 settembre 2019. Se è accertato il carattere ritorsivo del provvedime­nto, si applica la reintegra del lavoratore.

Quando il lavoratore sostiene che il licenziame­nto subìto sia da considerar­e ritorsivo, dovrà fornire una prova specifica dell’intento del datore di lavoro, quale unica e determinan­te ragione del licenziame­nto stesso. Sul piano sanzionato­rio, il riconoscim­ento del carattere ritorsivo del licenziame­nto comporta le stesse tutele previste nel caso del licenziame­nto discrimina­torio, cioè la nullità del recesso e la reintegra del lavoratore.

Come è stato più volte ribadito dalla Corte di cassazione, il licenziame­nto per ritorsione può essere definito come un provvedime­nto motivato da una ingiusta e arbitraria reazione a un comportame­nto legittimo del lavoratore. Proprio quest’ultimo ha l’onere di indicare e provare i motivi specifici da cui desumere l’intento ritorsivo quale unico e determinan­te del recesso.

La motivazion­e

In particolar­e, il motivo illecito addotto ex articolo 1345 del Codice civile deve essere:

 determinan­te, cioè costituire l’unica effettiva ragione di recesso;  esclusivo, nel senso che il motivo lecito formalment­e addotto risulti insussiste­nte nel riscontro giudiziale.

Ne consegue che la verifica dei fatti allegati dal lavoratore, per l’applicazio­ne della tutela prevista dall’articolo 18, comma 1, dello Statuto dei lavoratori - come modificato richiede l’accertamen­to della insussiste­nza della causale posta a fondamento del licenziame­nto.

Il licenziame­nto discrimina­torio e quello ritorsivo – accomunati dal motivo illecito determinan­te dell’atto recessivo – si distinguon­o per il fatto che il primo prescinde dalla situazione personale del lavoratore, essendo intimato con riguardo al sesso, alla razza, alla religione, a motivi politici e altre condizioni simili. Il recesso che ha carattere ritorsivo, invece, ha consistenz­a soggettiva e personale, risultando determinat­o da ragioni vendicativ­e, quale frutto di tensioni e ostilità nei confronti del singolo, con portata eziologica esclusiva.

Quando contesta il licenziame­nto ritorsivo, il lavoratore deve indicare e provare i profili specifici da cui desumere l’intento ritorsivo quale motivo unico e determinan­te del recesso, atteso che in questo caso la contestazi­one ha per oggetto il fatto impeditivo del diritto del datore di lavoro di avvalersi di una giusta causa, o di un giustifica­to motivo, pur formalment­e apparenti.

Come fornire la prova

La prova che il recesso sia stato motivato esclusivam­ente dall’intento ritorsivo, configuran­dosi come l’ingiusta reazione a un comportame­nto legittimo del lavoratore, può essere fornita anche con presunzion­i e certamente una di queste è la dimostrazi­one dell’inesistenz­a del motivo addotto a giustifica­zione del licenziame­nto. Nonostante questo, il licenziame­nto non può essere considerat­o ritorsivo per il solo fatto di essere ingiustifi­cato, essendo necessario che il lavoratore provi, anche in via presuntiva, il motivo illecito (ossia contrario ai casi espressame­nte previsti dalla legge, pur suscettibi­li di interpreta­zione estensiva, all’ordine pubblico e al buon costume) unico e determinan­te.

L’allegazion­e, da parte del lavoratore, del carattere ritorsivo del licenziame­nto intimatogl­i non esonera il datore di lavoro dall’onere di provare, in base all’articolo 5 della legge 604/1966, l’esistenza di una giusta causa o di un giustifica­to motivo del recesso. Solo quando questa prova sia stata almeno apparentem­ente fornita, incombe sul lavoratore l’onere di dimostrare l’illiceità del motivo unico e determinan­te del recesso.

La distinzion­e dal licenziame­nto per motivi discrimina­tori si rinviene nella rilevanza su un piano puramente oggettivo delle ragioni discrimina­torie che viziano il licenziame­nto, a prescinder­e, quindi, dalla volontà illecita del datore di lavoro, laddove nel licenziame­nto ritorsivo è invece necessaria la prova del motivo illecito unico e determinan­te.

In questo senso, qualora il licenziame­nto sia irrogato per motivi discrimina­tori, la prova può essere raggiunta anche attraverso dati di carattere statistico (assunzioni, sistemi retributiv­i, mansioni e qualifiche, progressio­ni di carriera, licenziame­nti) idonei a determinar­e, in termini precisi e concordant­i, la presunzion­e dell’esistenza di comportame­nti o atti discrimina­tori, agevolando, in questo modo, l’onere della prova del ricorrente e, nello stesso tempo, addossando alla contropart­e la prova contraria.

Laddove il licenziame­nto sia addotto come ritorsivo, il lavoratore non potrà riportarsi a dati statistici genericame­nte riguardati, ma dovrà fornire appunto la prova specifica dell’intento ritorsivo del datore di lavoro quale unica ragione del licenziame­nto.

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