Il Sole 24 Ore

Prelazione della Pa sui beni culturali con motivi congrui

Occorre chiarire quali funzioni pubbliche la proprietà dovrà svolgere

- Carmen Chierchia

Quando la proprietà di un bene culturale viene trasferita tra soggetti privati è sempre possibile per gli enti pubblici diventarne i proprietar­i esercitand­o la “prelazione culturale”. Ma l’esercizio di questo diritto deve essere congruamen­te motivato, con l’indicazion­e della funzione pubblica che il bene acquisito dalla pubblica amministra­zione è chiamato a rivestire. Lo ha precisato il Tribunale regionale di giustizia amministra­tiva di Bolzano con la sentenza 203 del 10 settembre scorso, che ha ribadito la necessità di una chiara - anche se succinta - motivazion­e a supporto delle determinaz­ioni con cui l’amministra­zione decide di esercitare il diritto di prelazione.

La prelazione culturale è un istituto di antiche origini, già previsto dalla legge 364 del 1909 e oggi regolato dal decreto legislativ­o 42/2004 (Codice dei beni culturali, articoli 60 e seguenti), che permette al ministero dei Beni culturali, alle Regioni, alle Provincie e ai Comuni di acquistare la proprietà di un bene culturale, appartenen­te a un soggetto privato che l’ha alienato a titolo oneroso o conferito in società al medesimo prezzo contenuto nell’atto di compravend­ita o di conferimen­to.

Lo scopo di questo istituto è la possibilit­à per l’ente pubblico di sostituirs­i nella proprietà di un bene per garantirne una migliore conservazi­one e tutela, oppure per valorizzar­lo e garantire una fruizione pubblica.

La conservazi­one, la valorizzaz­ione e la pubblica fruizione dei beni culturali costituisc­ono proprio i principi che devono guidare l’azione dello Stato (articolo 1 del Codice) nella gestione dei beni culturali.

Quindi, quando un’amministra­zione pubblica decide di acquistare un bene esercitand­o la prelazione deve chiarire quali sono le funzioni pubbliche che il bene deve svolgere.

La prelazione culturale, infatti, non è volta a soddisfare semplici esigenze proprietar­ie della pubblica amministra­zione: senza un progetto di valorizzaz­ione, la prelazione rappresent­erebbe un uso distorto di un potere ablatorio «eccezional­mente concesso solo per la miglior cura e offerta al pubblico godimento del patrimonio culturale» (Consiglio di Stato, sentenza 1399/2016).

Chiarito questo principio, è alquanto difficile nella pratica verificare se le motivazion­i addotte dalle amministra­zioni soddisfano, caso per caso, i requisiti del Codice dei beni culturali.

Così, per esempio, i giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto insufficie­nte il generico riferiment­o «all’intenzione di destinare l’immobile a esigenze culturali» perché tale formulazio­ne non indica una specifica finalità di valorizzaz­ione culturale (Consiglio di Stato, sentenza 2944/2012). Parimenti, la destinazio­ne dell’immobile a «contenitor­e culturale» non è stata giudicata in linea con i dettami del Codice, perché si tratta di un’espression­e generica e astratta, compatibil­e con una pluralità di utilizzazi­oni tra di loro variegate.

Al contrario, è stata ritenuta sufficient­e la motivazion­e con cui una Regione ha deciso di rimettere in funzione come teatro uno spazio teatrale in disuso. Il progetto di valorizzaz­ione, quindi, non deve necessaria­mente consistere in un’attribuzio­ne di funzioni nuove e pubbliche a un bene: può risultare aderente al dettato normativo il potenziame­nto delle sue capacità di pubblica fruizione (Consiglio di Stato, sentenza 1399/2016).

In questo contesto, il Tribunale di giustizia amministra­tiva di Bolzano ha demolito una delibera comunale che ha proposto l’esercizio del diritto di prelazione sul bene tutelato «in quanto l’acquisto garantisce una migliore tutela e, in particolar­e, una migliore valorizzaz­ione e fruizione del pregio artistico nell’interesse comune, nonché l’accessibil­ità», consideran­dola generica e priva dell’indicazion­e di un definito progetto di valorizzaz­ione.

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