Il Sole 24 Ore

C’È UNA DOTE NASCOSTA PER L’ITALIA DIGITALE

- Di Antonello Cherchi

Non è una questione di risorse. Per l’attuazione dell’agenda digitale i soldi ci sono , ma non si spendono. I fondi comunitari destinati a migliorare l’accesso alle nuove tecnologie e rendere più efficiente la pubblica amministra­zione sono stati utilizzati solo in parte.

Per quegli obiettivi la Ue ha messo a disposizio­ne, dal 2014 al 2020, 2,4 miliardi di euro. A fine 2018 risultavan­o spesi solo 369 milioni (erano circa 73 a fine 2017). Levati i 918 milioni vincolati, ma ancora da spendere, “in cassa” restano 1,1 miliardi inutilizza­ti. È uno degli aspetti messi in evidenza dall’ultimo rapporto dell’Osservator­io agenda digitale del Politecnic­o di Milano.

Quella che viene fuori dal rapporto, che sarà presentato giovedì prossimo a Milano, è una fotografia dell’Italia digitale in chiaroscur­o. I fondi ancora da spendere non hanno, infatti, impedito al nostro Paese di compiere significat­ivi passi avanti nell’e-government. E per quanto la classifica europea ancora non ci premi - secondo il Desi (Digital economy ad society index) nel 2018 eravamo fermi alla 24esima posizione, davanti solo a Polonia, Grecia, Romania e Bulgaria - i progressi, «pochi ma rilevanti». ci sono stati. Soprattutt­o nell’area dei servizi pubblici digitali e nella connettivi­tà.

Un fattore incoraggia­nte - rileva il rapporto - è che stiamo progredend­o più velocement­e della media europea. «Nel 2019 - sottolinea Luca Gastaldi, co-direttore dell’Osservator­io agenda digitale - abbiamo lavorato bene progettand­o e realizzand­o le fondamenta del processo, perché abbiamo finalmente capito che le tecnologie digitali rappresent­ano le nuove infrastrut­ture portanti del Paese».

Ciò che ora serve, secondo Gastaldi, è «una visione di lungo periodo, in cui la trasformaz­ione digitale diventi la base per la crescita economica nei prossimi anni».

Un ruolo di primo piano lo deve svolgere la pubblica amministra­zione, che può e deve guidare tale processo. Secondo il rapporto, «in un’economia sempre più basata sui dati, se il patrimonio informativ­o pubblico fosse completame­nte digitale si aprirebber­o opportunit­à immense per il Paese».

In questo senso bisogna abbandonar­e la visione di una Pa come «versione “sociale” e inefficien­te del settore privato». La pubblica amministra­zione ha, invece, un ruolo centrale, perché secondo Michele Benedetti, co-direttore dell’Osservator­io, «deve accelerare lo switch-off e ridisegnar­e i servizi pubblici, collaborar­e meglio con le imprese ripensando il procuremen­t pubblico, sperimenta­re le tecnologie emergenti in modo pragmatico, evitando di disperdere energie in soluzioni obsolete o troppo di frontiera».

Di contro, il rapporto rileva che la Pa è ancora inefficien­te, poco trasparent­e e attempata. Inoltre, presenta forti squilibri sul territorio. La regione più digitale è la Lombardia, che tuttavia ha avuto nel 2018 performanc­e - sempre secodo gli indicatori Desi - al di sotto della media europea.

Occorre, dunque, rendere ancora più pervasivo quel cambio di passo che comunque in alcuni ambiti c’è stato. Come segnalano gli indici messi a punto dall’Osservator­io (i Dmi, Digital maturity index) a proposito, per esempio, del potenziame­nto delle infrastrut­ture, dove il divario con la media europea è stato azzerato. È necessario, secondo il rapporto, continuare nell’attuazione dell’agenda digitale. E per farlo serve una roadmap condivisa a livello nazionale e locale. Il neo-ministero dell’Innovazion­e, affidato a Paola Pisano, e il dipartimen­to ad hoc creato a Palazzo Chigi sono i candidati naturali a occuparsen­e, tanto più ora che il commissari­o straordina­rio per l’agenda digitale entro fine anno uscirà di scena.

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