C’È UNA DOTE NASCOSTA PER L’ITALIA DIGITALE
Non è una questione di risorse. Per l’attuazione dell’agenda digitale i soldi ci sono , ma non si spendono. I fondi comunitari destinati a migliorare l’accesso alle nuove tecnologie e rendere più efficiente la pubblica amministrazione sono stati utilizzati solo in parte.
Per quegli obiettivi la Ue ha messo a disposizione, dal 2014 al 2020, 2,4 miliardi di euro. A fine 2018 risultavano spesi solo 369 milioni (erano circa 73 a fine 2017). Levati i 918 milioni vincolati, ma ancora da spendere, “in cassa” restano 1,1 miliardi inutilizzati. È uno degli aspetti messi in evidenza dall’ultimo rapporto dell’Osservatorio agenda digitale del Politecnico di Milano.
Quella che viene fuori dal rapporto, che sarà presentato giovedì prossimo a Milano, è una fotografia dell’Italia digitale in chiaroscuro. I fondi ancora da spendere non hanno, infatti, impedito al nostro Paese di compiere significativi passi avanti nell’e-government. E per quanto la classifica europea ancora non ci premi - secondo il Desi (Digital economy ad society index) nel 2018 eravamo fermi alla 24esima posizione, davanti solo a Polonia, Grecia, Romania e Bulgaria - i progressi, «pochi ma rilevanti». ci sono stati. Soprattutto nell’area dei servizi pubblici digitali e nella connettività.
Un fattore incoraggiante - rileva il rapporto - è che stiamo progredendo più velocemente della media europea. «Nel 2019 - sottolinea Luca Gastaldi, co-direttore dell’Osservatorio agenda digitale - abbiamo lavorato bene progettando e realizzando le fondamenta del processo, perché abbiamo finalmente capito che le tecnologie digitali rappresentano le nuove infrastrutture portanti del Paese».
Ciò che ora serve, secondo Gastaldi, è «una visione di lungo periodo, in cui la trasformazione digitale diventi la base per la crescita economica nei prossimi anni».
Un ruolo di primo piano lo deve svolgere la pubblica amministrazione, che può e deve guidare tale processo. Secondo il rapporto, «in un’economia sempre più basata sui dati, se il patrimonio informativo pubblico fosse completamente digitale si aprirebbero opportunità immense per il Paese».
In questo senso bisogna abbandonare la visione di una Pa come «versione “sociale” e inefficiente del settore privato». La pubblica amministrazione ha, invece, un ruolo centrale, perché secondo Michele Benedetti, co-direttore dell’Osservatorio, «deve accelerare lo switch-off e ridisegnare i servizi pubblici, collaborare meglio con le imprese ripensando il procurement pubblico, sperimentare le tecnologie emergenti in modo pragmatico, evitando di disperdere energie in soluzioni obsolete o troppo di frontiera».
Di contro, il rapporto rileva che la Pa è ancora inefficiente, poco trasparente e attempata. Inoltre, presenta forti squilibri sul territorio. La regione più digitale è la Lombardia, che tuttavia ha avuto nel 2018 performance - sempre secodo gli indicatori Desi - al di sotto della media europea.
Occorre, dunque, rendere ancora più pervasivo quel cambio di passo che comunque in alcuni ambiti c’è stato. Come segnalano gli indici messi a punto dall’Osservatorio (i Dmi, Digital maturity index) a proposito, per esempio, del potenziamento delle infrastrutture, dove il divario con la media europea è stato azzerato. È necessario, secondo il rapporto, continuare nell’attuazione dell’agenda digitale. E per farlo serve una roadmap condivisa a livello nazionale e locale. Il neo-ministero dell’Innovazione, affidato a Paola Pisano, e il dipartimento ad hoc creato a Palazzo Chigi sono i candidati naturali a occuparsene, tanto più ora che il commissario straordinario per l’agenda digitale entro fine anno uscirà di scena.