Il Sole 24 Ore

Ramo d’azienda ceduto: tempi lunghi per reclamare la continuità del lavoro

Secondo la Cassazione i ricorsi sono soggetti alla prescrizio­ne ordinaria La decadenza «breve» vale solo se l’addetto contesta l’intera operazione

- Pagina a cura di Valentina Pomares

In una cessione di ramo d’azienda, per accertare il diritto del lavoratore al trasferime­nto alle dipendenze dell’impresa cessionari­a, la richiesta può essere proposta entro i termini ordinari di prescrizio­ne, cioè dieci anni. È quanto si desume dalla sentenza della Cassazione 28750 del 7 novembre 2019. La Corte ha stabilito che, in un trasferime­nto di ramo d’azienda in base all’articolo 2112 del Codice civile, i termini di decadenza per impugnare il licenziame­nto previsti dall’articolo 32, comma 4, l et te rec)ed),d ella legge 183/2010 non si applicano se il lavoratore reclama il diritto alla prosecuzio­ne del rapporto di lavoro con il soggetto cessionari­o (si veda anche Il Sole 24 Ore dell’8 novembre).

La norma prevede che il doppio termine decadenzia­le previsto per impugnare il licenziame­nto (60 giorni per l’ impugnativ­a stragiudiz­iale e 180 giorni per quella giudiziale ), si applichi anche alle ipotesi di impugnazio­ne della cessione del contratto di lavoro in occasione del trasferime­nto d’ azienda in base all’articolo 2112 del Codice civile e in ogni altro caso in cui si chieda la costituzio­ne o l’ accertamen­to di un rapporto di lavoro in capo a un soggetto diverso dal formale titolare del contratto.

La Cassazione si è pronunciat­a sul caso di una lavoratric­e che, avendo lavorato all’interno del ramo d’azienda oggetto della cessione, chiedeva che venisse accertato il proprio diritto a proseguire il rapporto di lavoro con l’ impresa cessionari­a. La Corte d’ appello aveva respintola richiesta, dichiarand­ola decadenza ex articolo 32.

La lavoratric­e ha fatto ricorso alla Cassazione, contestand­o la violazione dell’articolo 32, comma 4, della legge 183/2010, perché a suo dire non applicabil­e al caso specifico: la domanda formulata era volta infatti esclusivam­ente ad accertare l’esistenza del rapporto di lavoro con la cessionari­a, senza contestual­e impugnativ­a della cessione del ramo d’azienda. Inoltre, non era possibile individuar­e un termine di decorrenza della decadenza che fosse riconducib­ile a un evento reso noto al soggetto nei cui confronti opera il termine decadenzia­le. Secondo la difesa della ricorrente dunque, il caso non poteva essere ricondotto nella previsione dell’articolo 32, comma 4, lettere c)ed) della legge 183/2010.

Nell’accogliere il ricorso della lavoratric­e, la Corte ha confermato che il termine decadenzia­le previsto dall’articolo 32 si applica solo nell’ipotesi in cui il lavoratore contesti la cessione. Non si applica mai, invece, nel caso in cui il lavoratore - stante l’avvenuto trasferime­nto d’azienda - proponga un’azione per accertare il suo diritto al trasferime­nto alle dipendenze della cessionari­a. In questo caso, quindi, i soggetti interessat­i potranno fare valere i propri diritti nei termini di prescrizio­ne ordinari, senza essere vincolati dal termine di decadenza.

Nel diritto del lavoro, la prescrizio­ne può essere ordinaria (decennale) o quinquenna­le:

 si prescrivon­o in dieci anni tutte le pretese che non riguardano il pagamento di somme (tranne gli importi dovuti come risarcimen­to del danno);  si prescrive in cinque anni il diritto del lavoratore al pagamento della retribuzio­ne, dei contributi previdenzi­ali e delle altre indennità che gli spettano alla cessazione del rapporto.

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