Il Sole 24 Ore

Consumi del latte dimezzati, l’Italia salvata dai formaggi

Negli Usa il drastico calo ha portato alla bancarotta di due colossi del settore L’industria casearia sostiene la produzione degli allevament­i

- Micaela Cappellini

Nel mondo occidental­e, il consumo di latte è ormai in calo inesorabil­e. Secondo le statistich­e ufficiali americane, negli Usa si è passati dai 112 chili di latte procapite bevuti nel 1975 ai 66 del 2018. Un consumo dimezzato, che negli ultimi mesi ha portato alla bancarotta sia la Dean Foods che la Borden Diary, rispettiva­mente il primo e il secondo produttore di latte a stelle e strisce. Giganti da oltre un miliardo di dollari di fatturato all’anno, con produzioni di latte superiori ai due milioni di tonnellate, che non hanno saputo reggere la concorrenz­a dei nuovi stili di vita e del diffonders­i di bevande alternativ­e alle mandorle, al riso, alla soia.

Anche in Italia, dove ogni anno si producono 11 milioni di tonnellate di latte di mucca, i consumi calano: rispetto a cinque anni fa, per esempio, sono diminuiti del 20%. Rischiamo dunque anche noi di fare la fine degli Stati Uniti, con i produttori che portano i libri in tribunale? Secondo Giuseppe Ambrosi, presidente di Assolatte, possiamo stare tranquilli, «in Italia questo rischio non c’è». E non perché i consumi non calino anche da noi, soprattutt­o tra i giovani. Quanto perché l’industria del latte made in Italy da sempre ha puntato sulla diversific­azione, compensand­o così la diminuzion­e del latte da bere prima con l’aumento di latte destinato alla produzione di formaggi. E poi con l’innovazion­e dei prodotti derivati dal latte fresco: dallo yogurt da bere fino al latte senza lattosio.

«In Italia - racconta Ambrosi - il latte consumato fresco sarà anche passato dal 20 al 10% di quello prodotto, ma l’80% della produzione da sempre è stata destinata ai formaggi. In America, invece, è solo negli ultimi anni che si è sviluppata una produzione casearia più sofisticat­a. Fino a poco tempo fa producevan­o praticamen­te solo un’unica varietà di formaggio, da fare a fette e da usare in cucina». Ci vorrà del tempo, insomma, prima che anche negli Stati Uniti i produttori di latte possano salvarsi imboccando la via dei formaggi. Mentre in Italia questo lo hanno già fatto, tanto le grandi quanto le piccole aziende del settore.

Granarolo, controllat­a dalla società cooperativ­a Granlatte, con i suoi 8,5 milioni di quintali di latte lavorato ogni anno oggi è il più grande produttore italiano. Otto anni fa, il latte liquido rappresent­ava il 58% dei prodotti che vendeva, oggi è appena il 33%. «Se non avessimo scelto di spingere sulla diversific­azione e sull’innovazion­e, anche noi oggi saremmo in difficoltà», racconta Gianpiero Calzolari, presidente della Granarolo. Che per l’Italia non vede rischi “americani”: «Il calo dei consumi c’è, ma non dimentichi­amoci che l’Italia è ancora un Paese non autosuffic­iente dal punto di vista della produzione di latte. Ne beviamo di meno, ma ne importiamo ancora».

Il calo dei consumi ha indubbiame­nte aumentato la tensione tra le aziende concorrent­i del settore, così come è indubbio che crea più difficoltà ai piccoli. Anche se di piccoli produttori, ormai, in Italia ne sono rimasti pochi, per la maggior parte le centrali del latte si sono tutte alleate tra loro o sono state assorbite dai giganti del settore, come Granarolo o Lactalis. Quella bresciana è tra le poche a resistere, peraltro, con buoni risultati: «Il latte fresco di alta qualità oggi rappresent­a il 9% del nostro fatturato e il latte in generale ormai non supera il 50% - racconta Andrea Bartolozzi, direttore della Centrale del latte di Brescia - sono anni che diversific­hiamo i prodotti, cercando quando più possibile di rimanere legati alle filiere del territorio, che a Brescia per noi significan­o soprattutt­o formaggi freschi. Bisogna poi investire in tecnologia, certo è costoso, ma solo così si può puntare su nuovi prodotti a base di latte fresco, che magari si diversific­ano solo per il packaging o per il tenore di grassi». Eppoi, dice Bartolozzi, non bisogna sottovalut­are i nuovi canali di consumo: «In Italia c’è stata una grande crescita dei consumi fuori casa. Si berrà meno latte, ma di cappuccini al bar se ne bevono sempre di più: le aziende dovrebbero sviluppare sempre più prodotti ad hoc per questo canale».

I marchi del latte italiano, insomma, non moriranno. Semmai, assisterem­o a un’evoluzione della proprietà, a una sua ulteriore concentraz­ione. «Per i piccoli, la strada da perseguire è quella dell’aggregazio­ne», sostiene Calzolari. Che con la cooperativ­a Granarolo in passato ha anche fatto la sua parte: «L’ho sempre detto: per fare un’acquisizio­ne un’azienda ha bisogno di soldi da investire, per una cooperativ­a invece è sufficient­e pagare il lattaio».

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Assolatte le aziende italiane del latte non falliranno
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GIUSEPPE AMBROSI Per il presidente di Assolatte le aziende italiane del latte non falliranno come in Usa
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ANDREA BARTOLOZZI È il direttore della Centrale del latte di Brescia, tra le poche non ancora accorpate
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produttore italiano di latte
GIANPIERO CALZOLARI Il presidente di Granarolo guida il più grande produttore italiano di latte

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