Il Sole 24 Ore

La nuova procedibil­ità non cambia il giudicato

L’introduzio­ne della querela non vale per sentenze definitive

- Giovanni Negri

La nuova condizione di procedibil­ità per l’appropriaz­ione indebita e cioè la presentazi­one della querela non agisce sulle sentenze definitive e in fase di esecuzione. Lo chiarisce la Cassazione con la sentenza 1628 della prima sezione penale depositata ieri con la quale è stato giudicato inammissib­ile il ricorso presentato dalla difesa di un imputato sanzionato con 11 mesi di carcere e risarcimen­to danni alla parte civile per i reati di appropriaz­ione indebita e falso in bilancio.

La condanna emessa in appello nel 2006 era diventata definitiva nel 2007. Rispetto a entrambi i reati era stato proposto incidente di esecuzione per ottenere la revoca della condanna, sul presuppost­o della modifica del regime di procedibil­ità dell’azione penale per effetto dell’entrata in vigore nel 2018 del decreto legislativ­o n. 36.

Quest’ultimo ha, di fatto, stabilito che, con alcune limitate eccezioni, il delitto di appropriaz­ione indebita diventa procedibil­e solo a querela della persona offesa. La tesi difensiva era che la modifica normativa avrebbe effetti anche per le sentenze già passate in giudicato prima della sua entrata in vigore perché la previsione della querela, a natura mista processual­e e sostanzial­e, di condizione di procedibil­ità e di punibilità, avrebbe la conseguenz­a di rendere necessaria l’applicazio­ne dell’”ordinario” articolo 2 del Codice penale che, disciplina­ndo la succession­e di leggi penali nel tempo, lo fa nel segno del favor rei.

Conclusion­e che, per certi versi almeno, la Cassazione neppure contesta. In particolar­e, la Corte condivide la posizione favorevole all’applicabil­ità dell’articolo 2 del Codice alle modifiche del 2018, come pure la valorizzaz­ione della natura “mista” dell’istituto della querela (e in questo senso la Cassazione ritiene che l’ordinanza impugnata non sia corretta, dove qualifica la querela come istituto solo processual­e e soggetto quindi al principio tempus regit actum). Tuttavia, a fare la differenza e condurre a una bocciatura del ricorso è il fatto che questo orientamen­to è stato espresso con riferiment­o a rapporti processual­i ancora in corso, per reati commessi in una data antecedent­e alla modifica sulla querela, ma non comprende invece la fase dell’esecuzione.

Del resto, avverte la Cassazione, lo stesso articolo 2 contiene una clausola di esclusione che sancisce l’inapplicab­ilità ai casi di sentenza ormai irrevocabi­le. In questa chiave si sono espresse, comunque, anche le Sezioni unite che, nel 2018, con la sentenza n. 40150, hanno escluso che il giudice dell’esecuzione possa revocare la condanna, contestand­o la mancata integrazio­ne dei presuppost­i di procedibil­ità. «E ciò - mette in evidenza ora la Cassazione - per la dirimente consideraz­ione che il sopravvenu­to regime di procedibil­ità a querela, non integrando un elemento costitutiv­o della fattispeci­e penale, da cui dipenda la sua accertabil­e esistenza, non è idoneo ad operare l’abolitio criminis, capace di prevalere per sua funziona abrogatric­e sul giudicato e da determinar­e la revoca della sentenza di condanna in sede esecutiva ai sensi dell’articolo 673 del Codice di procedura penale».

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