Crisi energetica in caso di stop a investimenti nelle fonti fossili
Oggi a Davos la giornata di Greta Thunberg che tuonerà contro Oil&Gas
L’appuntamento è previsto per oggi: l’ecoguerriera Greta Thunberg dovrebbe schiaffeggiare sonoramente la platea dei finanzieri, industriali e politici accorsi al Forum di Davos, biasimandoli per l’insufficienza dei loro sforzi nell’affrontare i cambiamenti climatici. Anche se finanza, industria e governi promettono di fare passi avanti, e anche se quest’anno il Word Economic Forum si dedica come non mai al tema della sostenibilità, gli ambientalisti esigono come è ovvio impegni ben più radicali.
Un altolà alle ambizioni delle associazioni ecologiste è arrivato ieri da un re portd ella lobby petrolifera: un rapportoche pure rappresenta il massimo riconoscimento finora arrivato dal settore sulla necessità di cambiare strategie per accelerare la transizione energetica.
Per la prima volta, è la stessa Agenzia Internazionale dell’Energia a sottolineare come sia interesse primario delle compagnie attive nel settore dell’Oil & Gas quello di rafforzare gli investimenti per ridurre le emissioni nocive, chiamando in causa anche le grandi compagnie a controllo statale. Nell’ «Oil and Gas Industry in Energy Transition» , l’Aie evidenzia che, senza un aumento degli sforzi per rispondere ai cambiamenti climatici, l’industria petrolifera andrà incontro a una doppia minaccia sul lungo termine: sia alla sua «accettabilità sociale» sia alla sua redditività.
Ma Greta è fuori strada se crede che abbia una possibilità la richiesta che farà oggi di uno stop immediato agli investimenti nei combustibili fossili (e tantomeno a quella parallela di un immediato disinvestimento totale). Secondo l’Aie, gli investimenti nell’Oil & Gas restano necessari anche nel caso non scontato di una rapida transizione verso le energie pulite: se gli investimenti nei pozzi esistenti dovessero cessare «il declino della produzione sarebbe intorno all’8% annuo, ossia maggiore di ogni plausibile calo della domanda globale». A meno di non volere una devastante crisi energetica, insomma, l’investimento negli attuali siti di estrazione e anche in alcuni nuovo campi rimarrà «parte del panorama».
Tuttavia «nessuna società dell’energia potrà evitare le conseguenze delle transizioni verso l’energia pulita», ha dichiarato il direttore esecutivo Fatih Birol -. Ogni parte del settore deve stabilire come reagire. Non fare nulla non è una opzione». Il compito più immediato, ha detto, sta nel ridurre le emissioni nocive derivanti dalle operazioni: «Oggi circa il 15% dei greenhouse gas vengono dai processi per estrarre petrolio e gas e portarlo ai consumatori. Buona parte di queste emissioni può essere ridotta in modo relativamente rapido e facile». Ad esempio, non sarebbe difficile ridimensionare le emissioni di metano nell’atmosfera, integrare l’utilizzo di energie rinnovabili o a basse emissioni nei nuovi progetti, investire di più nelle soluzioni pulite. Purtroppo, riconosce l’Aie, l’investimento medio delle compagnie in rinnovabili e tecnologie a basse emissioni si è limitato finora all’1% del totale del «capital spending». «Come osate?», potrà replicare Greta.
Tra le società meno sensibili al problema, spiccano le grandi compagnie petrolifere statali, che contano per oltre la metà della produzione globale e ancora di più in termini di riserve accertate: molte di esse, afferma eufemisticamente il rapporto, fanno ben poco per «adattarsi al mutamento delle dinamiche globali dell'energia». In pratica, il suggerimento di Birol è che il settore archivi le sue resistenze e balzi in pieno sul carro della transizione energetica in tandem con governi e investitori, cercare un nuovo bilanciamento tra ritorni sul breve termine e permanenza operativa sul lungo periodo (che una mancanza di lungimiranza potrebbe mettere in forse). I costi della transizione energetica rappresentano il punto critico. Il primo studio sui costi rilasciato ieri dall’International Maritime Organization (Imo) segnala che occorreranno investimenti tra mille e 1.400 miliardi di dollari dal 2030 al 2050 per tagliare del 50% le emissioni dell’industria dello shipping navale entro il 2050.
DAVOS