«Con un’Iva a due aliquote più contrasto all’evasione»
Pur avendo sterilizzato clausole per oltre 23 miliardi i problemi dell’Iva sono ancora tutti sul tappeto. E non solo perché a fine 2020 il Governo si troverà a fare i conti con una nuova clausola da circa 20 miliardi da stoppare, ma soprattutto perché l’imposta più evasa dagli italiani (il tax gap è a 33,6 miliardi di euro) è ormai datata e richiede una profonda revisione. Come spiega Fernando Di Nicola, ex super ispettore del Secit, ora all’Inps ma fino a poco tempo fa in forze al ministero dell’Economia, «i problemi dell’Iva italiana sono tali da richiedere una vera riforma in grado di riallocare beni e servizi anche in sole due aliquote, semplifichi drasticamente la struttura per gruppi di beni affini, razionalizzi la percentuale di carico evitando inspiegabili disparità, infine – last but not least – consenta un significativo recupero di gettito». Inoltre da una rimodulazione dell’Iva si potranno sia ridurre gli spazi di manovra per gli evasori sia recuperare una buona dote di risorse da redistribuire ai contribuenti con la riforma dell’Irpef.
Un’Iva a quattro aliquote non è più sostenibile?
L’Imposta italiana oggi è dispersa in tre aliquote principali sui consumi (4%, 10% e 22%) più un’aliquota del 5% che ci avvicina ai vertici mondiali “dell’astrusità fiscale”. Dal 23 luglio 2017 in Italia basilico, rosmarino e salvia, freschi, nonché l’origano a rametti o sgranato, destinati all’alimentazione, oltre alle piante allo stato vegetativo di basilico, rosmarino e salvia (ma non le piante di origano!) scontano un’aliquota del 5 per cento. Dal 1° gennaio anche i prodotti per l’igiene intima femminile, ma solo se “biodegradabili”.
I detrattori della riforma dell’Iva sbandierano problemi di recessione e penalizzazioni per i ceti meno abbienti soprattutto sui prodotti alimentari. È davvero così?
Non proprio. Oggi guardando la tabella dell’Iva assistiamo a una dispersione delle aliquote alimentari su tutte le aliquote, con una logica che sembra sempre più aver perso le sue ragioni. Si può dire ad esempio che alcuni prodotti freschi o surgelati “civetta” (pane, pasta e ortofrutta su tutti) sono al 4%, mentre tutte le preparazioni alimentari industriali sono al 10%, con l’aggiunta di uova, formaggi, pesce, carne, per citare alimenti di assoluto rilievo. Ma non mancano altri paradossi: acqua minerale (per molti un obbligo, considerato lo stato delle tubature comunali a ridotta manutenzione) e caffè, che costano il 4% in mensa, il 10% se serviti in bar e ristoranti, il 22% se acquistati in negozio.
Di fatto, è diventata prevalente la spesa alimentare ad aliquota superiore al 4%, cosicché le famiglie meno abbienti non subirebbero un aggravio dal loro accorpamento attorno ad un’aliquota intermedia, come ad esempio il 7,5 per cento.
Distorsioni solo sul fronte alimentare e sulle aliquote ridotte o è un fenomeno più generale?
No. Anche tra il 10% ed il 22% esistono rilevanti e inspiegabili differenziazioni: in una nazione come l’Italia, povera di risorse energetiche, soluzioni di consumo fondate sul gas (anche qui con complicate distinzioni) sono gravate dal 22%, mentre l’energia elettrica è al 10%. In tal modo ogni la scelta inerente i fornelli costa il 22% se fondata sul gas, il 10% se fondata sull’elettricità; stessa cosa per l’ancor più rilevante riscaldamento, che come noto può essere organizzato basandosi sul gas come sull’elettricità, (ma quest’ultima risulta favorita dall’aliquota del 10%, nonostante un rendimento energetico in genere inferiore).
Un sistema a più aliquote si dice da sempre che favorisca l’evasione. Come la vede da ex super 007 del Fisco? È innegabile che con più aliquote si possa favorire una sorta di evasione “intermedia” che trae ispirazione dalla differenziazione delle aliquote all’acquistoedallavendita.Ancheperquesto andrebbero riscritte tornerebbe utile semplificare le tabelle dei beni e servizi prevedendo solo due aliquote sul modello tedesco: tutti i beni alimentari tassati con una aliquota intermedia tra il 4 edil10%(ades.7,5%)eun’aliquotaordinaria ridotta rispetto ad oggi (ad esempio 20%) per tutti gli altri beni e servizi.
Con quali benefici?
Una drastica semplificazione applicativa e riduzione dei costi di adempimento e consulenza. Un taglio secco all’evasione – a parità delle capacità di controllo – e una tutela redistributiva senza gravare i decimi più poveri di popolazione, a maggior consumo di alimenti che oggi sono per lo più al 10 per cento. Verrebbero cancellate disparità di aliquota per beni simili, con obiettivi anche ecologici di razionalizzazione e contenimento dei consumi energetici e non da poco conto per i conti dello Stato si potrebbero recuperare 7 miliardi, tra contrasto all’evasione ed effetto della riallocazione dei beni su due aliquote (7,5-20%).
E il costo sul piano politico? Non lo ritengo elevato. Sarebbe facile comprendere che se pago qualcosa in più il pane e la pasta, ma riduco il costo di quasi tutti gli altri cibi, non vedo peggiorare drasticamente le finanze familiariecontribuiscoadunamanovrache altrimentigraverebbesuibilanciinaltre forme.Mailpolicymaker,inquestiultimi 10 anni, non è stato disposto a fare una riforma, preferendo “spostare” le aliquote, peraltro spesso virtualmente, anziché riallocare le voci di consumo.
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La riforma potrebbe consentire allo Stato di recuperare 7 miliardi anche per effetto della riallocazione dei beni