Ex Ilva, sale lo scontro sui 3mila esuberi
Il Governo chiede una garanzia per l’impiego a sei anni di tutti gli operai in cassa integrazione. Nessun accordo con ArcelorMittal Il gruppo franco-indiano decide il fermo dell’acciaieria 1, ma riavvia la produzione delle lamiere e 360 cassintegrati tor
Trattative in stallo.
LAKSHIMI
MITTAL L’imprenditore indiano a capo del colosso ArcelorMittal
Logica di mercato.
Il nodo è sempre quello. L’occupazione. Passi avanti sostanziali sono stati fatti. La specializzazione produttiva: con i due forni elettrici da aggiungere al ciclo integrale. L’utilizzo del preridotto, in coerenza con le esigenze del Nord industriale e con gli interessi del Sistema-Paese. Ma, sull’occupazione, i negoziati in corso sperimentano una, pericolosa, fase di stallo. Il Governo vuole una sorta di clausola di salvaguardia. Sul contratto che i legali delle controparti stanno provando a stendere, in alcuni passaggi serenamente e in altri passaggi in maniera assai più faticosa, il Governo cerca di imporre ad Arcelor Mittal la riassunzione di tremila esuberi che, invece, per la multinazionale sono incompatibili, anche quando le cose andranno bene, con un funzionamento razionale ed efficiente dell’impresa. Nel business plan che si va componendo e che si sta trasformando in punti contrattuali, l’idea è di raggiungere l’utile in sei anni. Allora, per il Governo, dovrebbe scattare il riassorbimento di questi tremila. Per i Cinque Stelle l’occupazione è una bandiera che non si può ammainare, come invece è stato fatto con la chiusura definitiva dell’impianto. In primavera, alle elezioni per la Regione Puglia il PD avrà come candidato il descamisado Michele Emiliano. La forzatura politica – in un negoziato fra Governo e Arcelor Mittal da cui è stato del tutto tagliato fuori, anche soltanto in termini di informazioni, il sindacato - ha la sua ratio giuridica nel fatto che, sul contratto del 6 settembre 2018, era scritto che tutti gli addetti sarebbero stati riassunti. Soltanto che adesso – sotto lo scrutinio degli azionisti e degli obbligazionisti di Arcelor Mittal, preoccupati per le perdite del 2019 – questo non è accettabile. Anche perché renderebbe impraticabile la conduzione aziendale sul medio periodo: raggiungi l’utile e, poi, impiombi i costi assorbendo di nuovo altri 3mila addetti. Peraltro questa richiesta – di separazione dalla realtà effettuale del mercato della nuova azienda a partecipazione anche pubblica a cui si sta lavorando - collide con lo stile gestionale che, negli ultimi mesi, di fronte al calo della domanda europea e al peggiorare della finanza aziendale, ha caratterizzato le risposte – appunto assolutamente di “mercato” – del management di Arcelor Mittal. Nella decisione di fermare da domani, e fino a fine marzo, l’acciaieria 1, mettendo in cassa integrazione 250 persone e ricollocandone altre 227 in altre parti della fabbrica, c’è appunto una coerenza di fondo: in attesa del nuovo assetto, l’impianto siderurgico va calibrato, sia nella produzione che nell’occupazione, alle esigenze reali. Mercato, domanda, commesse dei clienti. Da giovedì, dunque, la trasformazione della ghisa in acciaio avverrà solo in un impianto usando due convertitori su tre e tenendo il terzo dell’acciaieria 2 non più fermo o in manutenzione, come accaduto finora, ma pronto all’uso in base alle necessità. Altro esempio: sarà rimessa in marcia, dal 10 febbraio, la produzione delle lamiere. Tornano al lavoro 360 cassintegrati, ma per non di più di quattro settimane, dato che ci sono soltanto 30mila tonnellate da produrre. Dunque, mentre gli atti giudiziari continuano (ieri gli avvocati di Ilva in Amministrazione Straordinaria hanno presentato una memoria molto dura, in cui si parla di socializzazione delle perdite e di capitalismo d’assalto, di danno generale all’economia italiana e di destrutturazione particolare dell’azienda da parte di Arcelor Mittal), si continua a negoziare. Il 31 gennaio,ultimo giorno per trovare un accordo complessivo da portare in Tribunale a Milano all’udienza del 7 febbraio, è dietro l’angolo. E il nodo dell’occupazione è il primo dei problemi.