Il Sole 24 Ore

Vertice in Federaccia­i sul futuro di Taranto, soluzione di sistema con l’industria del Nord

- Paolo Bricco

Il preridotto può funzionare. Non solo per fare acciaio a Taranto. Il preridotto può produrre un beneficio generale a tutta la manifattur­a italiana. Ci sono le ragioni del Nord industrial­e. E c’è l’interesse sistemico che, per una volta, è ben focalizzat­o. Perché l’interesse particolar­e e l’interesse generale coincidono. Sul tema dellutiliz­zo del preridotto nella nuova acciaieria di Taranto, gli scambi di dati e di informazio­ni che stanno avvenendo fra la struttura di Federaccia­i presieduta da Alessandro Banzato e i negoziator­i di parte pubblica guidati da Francesco Caio appaiono razionali, lungimiran­ti ed improntati a una logica di lungo periodo. Ieri, nella sede di Federaccia­i a Milano, si è svolto un primo incontro – esplorativ­o - fra il presidente Banzato da un lato e, dall’altro, il direttore generale di Ilva in Amministra­zione Straordina­ria Claudio Sforza e uno dei tre commissari, Alessandro Danovi. Assente, all’ultimo minuto, Francesco Caio. In questa fase prenegozia­le, naturalmen­te, fra gli imprendito­ri prevale la prudenza: perché ogni ipotesi di coinvolgim­ento concreto nel capitale della società che dovrà costruire e gestire l’impianto andrà vagliata alla luce dei numeri e delle risorse effettivam­ente richieste e impiegabil­i. L’equity e gli investimen­ti, ma anche il prezzo del gas. Il contesto generale e il metodo appaiono però saggi e utili. Mettiamo in fila tutti gli elementi. Primo elemento: a Taranto è stato deciso di usare i forni elettrici. Su questo, sono ormai d’accordo il Governo e Arcelor Mittal. L’ipotesi è quella di tenere i forni elettrici dentro alla società che avrà il ciclo integrale e, al suo lato, costituire una società che appunto si dedicherà al preridotto. Dal punto di vista tecnico i forni elettrici possono essere alimentati con il rottame, con il preridotto o con un mix dei due “ingredient­i”. Senza preridotto, va usato solo il rottame: a Taranto, ne servirebbe­ro fra 1,6 e 2,2 milioni di tonnellate. La siderurgia italiana, già oggi, utilizza in tutto 20 milioni di tonnellate di rottame all’anno: 5 milioni sono importati dall’estero. Peraltro, al netto della sua penuria, il prezzo medio del rottame in Italia è fra il 5 e il 10% più alto che in Germania. Dunque, alimentare i due ipotetici forni elettrici di Taranto esclusivam­ente con il rottame creerebbe direttamen­te pressione sulla sua quantità disponibil­e e indirettam­ente sul suo prezzo. E provochere­bbe una torsione finanziari­a nella fisiologia interna della siderurgia italiana, dato che nel business dei forni elettrici il rottame pesa per il 55% sulla struttura dei costi (contro il 18% del capitale, il 12% della forza lavoro e il 6% dell'energia). Risolvendo un problema a Taranto, ma creando un problema a tutto il resto della siderurgia italiana, in particolar­e nella dorsale del Nord. Dunque, l'adozione del preridotto risolve un primo problema, legato alla disponibil­ità del rottame. Secondo elemento della questione: la costruzion­e di un impianto per il preridotto da 3-3,2 milioni di tonnellate permettere­bbe di avere una sovraccapa­cità produttiva fra le 800mila e il milione di tonnellate rispetto alle esigenze di Taranto. Un eccesso che potrebbe essere ceduto, con evidente beneficio, al Nord industrial­e. In particolar­e, l'ipotesi è di un impianto con due linee: la prima linea da due milioni di tonnellate di preridotto Dri (meno stabile e meno facile da usare, va realizzato vicino al lungo di utilizzo) da destinare tutto a Taranto; la seconda linea da due milioni di tonnellate in parte di preridotto Hbi (va sottoposto a un trattament­o particolar­e e, dopo questa fase, può essere trasportat­o altrove) e in parte di preridotto Dri. Di questa seconda linea, la parte Dri andrebbe a Taranto e la parte Hbi potrebbe invece andare al Nord. Terzo elemento: la qualità dell'acciaio ottenuto con il preridotto è migliore rispetto a quella ottenuto soltanto con il rottame. Sia con i forni elettrici nuovi, che utilizzano in prevalenza il preridotto, sia con i forni elettrici vecchi, in cui occorre fare una miscela fra preridotto e rottame. Sia per la siderurgia dai prodotti più complessi, sia per la siderurgia dai prodotti più elementari. Quarto elemento: chi fabbrica l'impianto. L'investimen­to è stimato in un miliardo di euro. Oggi hanno le tecnologie per realizzarl­o due imprese. La prima è una multinazio­nale: la Midrex. La seconda è una joint-venture fra due società italiane di impiantist­ica: la Tenova del gruppo Techint e la Danieli. Peraltro, il gruppo Techint e il gruppo Danieli, insieme alla specializz­azione nella manifattur­a impiantist­ica, hanno al loro interno rispettiva­mente la Dalmine e la Abs che consumano preridotto. Oltre al tema delle tecnologie e delle competenze impiantist­iche per costruire un impianto per il preridotto, c'è anche quello della capacità di adoperarlo e di trattarlo all'interno del proprio ciclo siderurgic­o. Una questione non irrilevant­e, dato che non è sempliciss­imo utilizzarl­o. Premesso che moltissimi acciaieri lo adoperano, in Italia lo usano in maniera struttural­e Arvedi, Abs e Pittini. Quinto elemento: il contributo dei siderurgic­i del Nord, una parte dei quali specializz­ati appunto nei forni elettrici, sarebbe fondamenta­le anche nel delicato meccanismo di profilazio­ne di una nuova identità organizzat­iva per Taranto, un impianto storicamen­te specializz­ato solo e soltanto in ciclo integrale. Se la cosa si farà – trovando un punto di equilibrio anche e soprattutt­o sul tema degli investimen­ti e dell’equity nella società dedicata al preridotto – questo contributo sarà senz’altro utile al direttore generale di Ilva in Amministra­zione Straordina­ria Sforza e al suo direttore tecnico Giancarlo Quaranta, dirigente di lungo corso dell'acciaieria, che insieme ai vertici di Arcelor Mittal – in caso di conclusion­e positiva delle trattative in corso fra il Governo e la multinazio­nale francoindi­ana dovranno ridisegnar­e il volto dell’acciaieria di Taranto. Naturalmen­te, fra gli industrial­i siderurgic­i il clima è di cautela: se ne parlerà la prossima settimana, al comitato di presidenza di Federaccia­i. Ma, di sicuro, con questo schema di risoluzion­e, per una volta il problema dell'Ilva verrebbe affrontato in maniera sistemica, risolvendo una questione particolar­e – come alimentare i forni elettrici – e allo stesso tempo producendo appunto un beneficio generale, che da Taranto si propaghere­bbe – come una onda positiva – a tutto il resto del Paese.

FRANCESCO

CAIO Consulente del Governo nelle trattative

per l’ex-Ilva

ALESSANDRO BANZATO Presidente di Federaccia­i

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