Vertice in Federacciai sul futuro di Taranto, soluzione di sistema con l’industria del Nord
Il preridotto può funzionare. Non solo per fare acciaio a Taranto. Il preridotto può produrre un beneficio generale a tutta la manifattura italiana. Ci sono le ragioni del Nord industriale. E c’è l’interesse sistemico che, per una volta, è ben focalizzato. Perché l’interesse particolare e l’interesse generale coincidono. Sul tema dellutilizzo del preridotto nella nuova acciaieria di Taranto, gli scambi di dati e di informazioni che stanno avvenendo fra la struttura di Federacciai presieduta da Alessandro Banzato e i negoziatori di parte pubblica guidati da Francesco Caio appaiono razionali, lungimiranti ed improntati a una logica di lungo periodo. Ieri, nella sede di Federacciai a Milano, si è svolto un primo incontro – esplorativo - fra il presidente Banzato da un lato e, dall’altro, il direttore generale di Ilva in Amministrazione Straordinaria Claudio Sforza e uno dei tre commissari, Alessandro Danovi. Assente, all’ultimo minuto, Francesco Caio. In questa fase prenegoziale, naturalmente, fra gli imprenditori prevale la prudenza: perché ogni ipotesi di coinvolgimento concreto nel capitale della società che dovrà costruire e gestire l’impianto andrà vagliata alla luce dei numeri e delle risorse effettivamente richieste e impiegabili. L’equity e gli investimenti, ma anche il prezzo del gas. Il contesto generale e il metodo appaiono però saggi e utili. Mettiamo in fila tutti gli elementi. Primo elemento: a Taranto è stato deciso di usare i forni elettrici. Su questo, sono ormai d’accordo il Governo e Arcelor Mittal. L’ipotesi è quella di tenere i forni elettrici dentro alla società che avrà il ciclo integrale e, al suo lato, costituire una società che appunto si dedicherà al preridotto. Dal punto di vista tecnico i forni elettrici possono essere alimentati con il rottame, con il preridotto o con un mix dei due “ingredienti”. Senza preridotto, va usato solo il rottame: a Taranto, ne servirebbero fra 1,6 e 2,2 milioni di tonnellate. La siderurgia italiana, già oggi, utilizza in tutto 20 milioni di tonnellate di rottame all’anno: 5 milioni sono importati dall’estero. Peraltro, al netto della sua penuria, il prezzo medio del rottame in Italia è fra il 5 e il 10% più alto che in Germania. Dunque, alimentare i due ipotetici forni elettrici di Taranto esclusivamente con il rottame creerebbe direttamente pressione sulla sua quantità disponibile e indirettamente sul suo prezzo. E provocherebbe una torsione finanziaria nella fisiologia interna della siderurgia italiana, dato che nel business dei forni elettrici il rottame pesa per il 55% sulla struttura dei costi (contro il 18% del capitale, il 12% della forza lavoro e il 6% dell'energia). Risolvendo un problema a Taranto, ma creando un problema a tutto il resto della siderurgia italiana, in particolare nella dorsale del Nord. Dunque, l'adozione del preridotto risolve un primo problema, legato alla disponibilità del rottame. Secondo elemento della questione: la costruzione di un impianto per il preridotto da 3-3,2 milioni di tonnellate permetterebbe di avere una sovraccapacità produttiva fra le 800mila e il milione di tonnellate rispetto alle esigenze di Taranto. Un eccesso che potrebbe essere ceduto, con evidente beneficio, al Nord industriale. In particolare, l'ipotesi è di un impianto con due linee: la prima linea da due milioni di tonnellate di preridotto Dri (meno stabile e meno facile da usare, va realizzato vicino al lungo di utilizzo) da destinare tutto a Taranto; la seconda linea da due milioni di tonnellate in parte di preridotto Hbi (va sottoposto a un trattamento particolare e, dopo questa fase, può essere trasportato altrove) e in parte di preridotto Dri. Di questa seconda linea, la parte Dri andrebbe a Taranto e la parte Hbi potrebbe invece andare al Nord. Terzo elemento: la qualità dell'acciaio ottenuto con il preridotto è migliore rispetto a quella ottenuto soltanto con il rottame. Sia con i forni elettrici nuovi, che utilizzano in prevalenza il preridotto, sia con i forni elettrici vecchi, in cui occorre fare una miscela fra preridotto e rottame. Sia per la siderurgia dai prodotti più complessi, sia per la siderurgia dai prodotti più elementari. Quarto elemento: chi fabbrica l'impianto. L'investimento è stimato in un miliardo di euro. Oggi hanno le tecnologie per realizzarlo due imprese. La prima è una multinazionale: la Midrex. La seconda è una joint-venture fra due società italiane di impiantistica: la Tenova del gruppo Techint e la Danieli. Peraltro, il gruppo Techint e il gruppo Danieli, insieme alla specializzazione nella manifattura impiantistica, hanno al loro interno rispettivamente la Dalmine e la Abs che consumano preridotto. Oltre al tema delle tecnologie e delle competenze impiantistiche per costruire un impianto per il preridotto, c'è anche quello della capacità di adoperarlo e di trattarlo all'interno del proprio ciclo siderurgico. Una questione non irrilevante, dato che non è semplicissimo utilizzarlo. Premesso che moltissimi acciaieri lo adoperano, in Italia lo usano in maniera strutturale Arvedi, Abs e Pittini. Quinto elemento: il contributo dei siderurgici del Nord, una parte dei quali specializzati appunto nei forni elettrici, sarebbe fondamentale anche nel delicato meccanismo di profilazione di una nuova identità organizzativa per Taranto, un impianto storicamente specializzato solo e soltanto in ciclo integrale. Se la cosa si farà – trovando un punto di equilibrio anche e soprattutto sul tema degli investimenti e dell’equity nella società dedicata al preridotto – questo contributo sarà senz’altro utile al direttore generale di Ilva in Amministrazione Straordinaria Sforza e al suo direttore tecnico Giancarlo Quaranta, dirigente di lungo corso dell'acciaieria, che insieme ai vertici di Arcelor Mittal – in caso di conclusione positiva delle trattative in corso fra il Governo e la multinazionale francoindiana dovranno ridisegnare il volto dell’acciaieria di Taranto. Naturalmente, fra gli industriali siderurgici il clima è di cautela: se ne parlerà la prossima settimana, al comitato di presidenza di Federacciai. Ma, di sicuro, con questo schema di risoluzione, per una volta il problema dell'Ilva verrebbe affrontato in maniera sistemica, risolvendo una questione particolare – come alimentare i forni elettrici – e allo stesso tempo producendo appunto un beneficio generale, che da Taranto si propagherebbe – come una onda positiva – a tutto il resto del Paese.
FRANCESCO
CAIO Consulente del Governo nelle trattative
per l’ex-Ilva
ALESSANDRO BANZATO Presidente di Federacciai