Greta sferza politici e imprenditori: «Non fanno niente»
Appello a bloccare subito investimenti e sussidi sui combustibili fossili
Donald Trump non si riferiva solo a lei quando ha parlato di «perenni profeti di sventura» e delle loro «predizioni di apocalisse»: includeva anche chi aveva parlato della fine del petrolio o della crisi mondiale da sovrappopolazione. Ma certo Greta Thunberg entra di diritto nel novero di quelli che il presidente biasima come «allarmisti».
Riprendendo ieri la frase-slogan che aveva detto l’anno scorso a Davos, la giovane attivista svedese ha sottolineato alla platea del Wef che «la nostra casa è ancora in fiamme. La vostra inazione sta alimentando le fiamme di ora in ora. Vi chiediamo di agire come se amaste i vostri figli più di ogni altra cosa». Non basta piantare alberi: la richiesta sua e di un gruppo di altri giovani attivisti è quella di bloccare subito tutti gli investimenti e sussidi nei combustibili fossili: «Non abbiamo bisogno di minori emissioni. Le emissioni devono cessare». Non si tratta di una questione di schieramenti politici: «Questo non riguarda la destra o la sinistra. Non ci importa nulla delle politiche di partito. Dalla prospettiva della sostenibilità, destra, sinistra e centro hanno fallito: nessuna ideologia politica o struttura economica è riuscita ad affrontare l’emergenza climatica e a creare un mondo coeso e sostenibile».
Già di mattina presto, Greta aveva evocato il tema della frattura generazionale sulla questione del clima, in un panel di giovani attivisti introdotto proprio da un filmato sulla “new wave” di gioventù ambientalista. Parlando degli effetti degli scioperi scolastici pro-clima da lei avviati, ha evidenziato che si è creata nel mondo una inattesa «alleanza di movimenti» che hanno accresciuto la consapevolezza del problema dei problemi che il mondo deve affrontare. Tuttavia, ha riconosciuto con accenti di tristezza, finora non ci sono stati risultati perché le emissioni globali stanno ancora aumentando.
Anche se quest’anno il tema del World Economic Forum è quello della sostenibilità, insomma, banchieri, imprenditori e politici a suo parere non stanno facendo «ancora niente». Anche la stampa, secondo Greta, ha le sue responsabilità per omissione, nel sottovalutare il cambiamento climatico che è un fattore per cui «la gente muore»: il mondo dovrebbe dare ascolto agli scienziati e «deve arrivare all’obiettivo di emissioni zero il prima possibile e aiutare i Paesi poveri a mettersi in linea».
Tra gli economisti, Joseph Stiglitz è parso,senondarleragione,almenodaretortoaTrump:«Ilpresidenteèriuscito nell’impresa di non dire assolutamentenullasuicambiamenticlimatici. Nel frattempo, noi ci arrostiremo», ha commentato Stiglitz, secondo cui il quadro dell’economia disegnato dal presidente è «totalmente sbagliato».
La direttrice esecutiva di Greenpeace, Jennifer Morgan, è stata categorica contro il negazionismo di chi tratta con sufficienza il problema: «Dare per scontato che si possa avere grande America redditizia, e americani felici, senza capire il rischio per gli americani dei cambiamenti climatici è pazzesco: dimostra solo il livello di negazione del problema, e come ci sia un governo prigioniero delle industrie del carbone e del petrolio». In effetti, nell’edizione dichiaratamente più “verde” del Wef, spicca l’assenza quasi totale di alti esponenti dell’industria petrolifera. Da quanto emerge a parole dalle innumerevoli sessioni di lavoro in corso, sembra che Greta debba piuttosto sperare qualcosa dal mondo della finanza.
D’altra parte, è un mondo che pensa ai profitti e oggi appare più preoccupato dai candidati democratici emergenti (da Sanders alla Warren) che non da Trump. A Davos c’è «zero panico» sulla prospettiva di una rielezione di The Donald, ha fatto notare Ian Bremmer di Eurasia. Il Big Business, insomma, a Davos può «rinverdire» le sue credenziali e lasciarsi schiaffeggiare volentieri da Greta, ma per accelerare la transizione energetica avrebbe bisogno di maggiori incentivi economici. Ma proprio Trump, oltre a dare la disdetta degli accordi di Parigi, ritarda la svolta anche con le sue mosse in Medio Oriente, che contribuiscono a tenere alti i prezzi del petrolio rendendo meno conveniente il ricorso a fonti alternative.