Impeachment, subito scontro sulle regole
La maggioranza repubblicana vuole ridurre i tempi, Dem all’attacco
Sul processo di impeachment a Donald Trump che è cominciato ieri al Senato è forte lo scontro politico tra repubblicani e democratici, come è normale che sia in un caso del genere: la messa in stato di accusa del presidente americano, per la terza volta nella storia americana. Fu così anche ai tempi di Bill Clinton nel 1999 per il sexgate. Ma ieri tuttavia a Washington si è consumato uno scontro istituzionale che non ha precedenti in questo Paese sulle regole procedurali e sui tempi del processo, di solito concordati in maniera bipartisan: per il processo a Clinton sulle regole ci fu l’unanimità.
Il leader della maggioranza, il repubblicano Mitch McConnell, ha presentato una risoluzione che ha spaccato in due il Senato, prima ancora dell’inizio della prima udienza. La risoluzione McConnell prevede per accusa e difesa appena 24 ore di tempo in due giorni per presentare gli “opening arguments”, le argomentazioni di apertura del processo. Di fatto la risoluzione comprime i tempi rispetto al processo a Clinton, quando le 24 ore a testa furono spalmate su quattro giorni invece che su due. In linea con quanto auspicato da Trump che mira a un processo rapido e possibilmente senza nuovi elementi probatori.
Nell’austera aula del Senato la tensione è altissima. Chuck Schumer, il leader della minoranza democratica, ha definito la risoluzione «una vergogna nazionale» e accusato la maggioranza di voler svolgere «un processo di impeachment per la prima volta senza testimoni».
«La risoluzione McConnell – ha tuonato il capo dei democratici - va contro la possibilità di presentare nuove prove e documenti da parte dell’accusa. Non dà agli americani la possibilità di conoscere la verità sul caso dell’Ucraina, le influenze esercitate dal presidente americano su un Paese straniero per interferire sulla nostra campagna elettorale. I repubblicani hanno fatto la scelta di non svolgere un processo equo, che è quello che la gente vuole. Ma non potranno evitare il giudizio della storia».
Adam Schiff, il combattivo deputato californiano, presidente della Commissione di intelligence della Camera, che guida la squadra dei sette procuratori dell’accusa al processo contro Trump, nei giorni scorsi ha chiesto alla Cia e alla National Security Agency di avere accesso a nuovi documenti e ad altre testimonianze, superando gli ostacoli posti dalla Casa Bianca durante l’inchiesta: una delle accuse che viene avanzata al presidente nei due articoli di impeachment, oltre all’abuso di potere, è l’ostruzionismo che sarebbe stato messo in opera dalla sua amministrazione in questi mesi.
Schiff non ha specificato di quali documenti si tratti. Ma una fonte dell’intelligence ha spiegato che l’Ucraina è diventata un campo di battaglia centrale nella cyberwar tra le agenzie americane e gli hacker russi. Le nuove prove di cui parlano i democratici potrebbero quindi riportare di nuovo al centro dell’attenzione le relazioni pericolose tra Donald Trump e il presidente Vladimir Putin, e far entrare nel processo anche il dossier Russiagate.
La risoluzione McConnell, per essere approvata dal Senato, necessita di una maggioranza semplice: le basterà ottenere 51 voti favorevoli. A differenza dall’impeachment che richiede invece i due terzi dei senatori, pari a 67 voti.
I repubblicani al Senato sono 53. Basterebbe il voto contrario di pochi di loro per non farla passare. Per Trump sarebbe un flop politico e un affronto che farebbe scattare subito dopo l’epurazione interna, e la caccia alle streghe contro i “franchi tiratori”. Scenario possibile, ma improbabile. Considerando che oltre il 90% degli iscritti repubblicani sostiene Trump, secondo gli ultimi sondaggi. «Se le regole di McConnell saranno approvate, questo sarà uno dei giorni più bui per il Senato», ha ammonito il democratico Schumer.
Il processo di impeachment a Trump andrà avanti per diverse settimane, e si concluderà con le votazioni. I repubblicani sperano che si possa concludere prima del prossimo 4 febbraio, il giorno in cui è in programma il discorso sullo Stato dell’Unione. Il processo di impeachment contro Bill Clinton andò avanti circa cinque settimane, dal 7 gennaio al 12 febbraio del 1999.
Un “danno collaterale” del processo è lo stop forzato della campagna elettorale di tutti i senatori democratici in lizza per la nomination, Bernie Sanders, Elizabeth Warren, John Biden e Amy Klobuchar: sono tutti obbligati a restare in aula e a rinunciare ai comizi in vista delle primarie che iniziano il 3 febbraio dallo stato dell’Iowa.
Da Davos, intanto, Trump ha bollato il processo come «una bufala: la caccia alle streghe che dura da anni - ha detto ai giornalisti - è vergognosa».
Di solito le procedure vengono concordate in maniera bipartisan: per Clinton nel 1999 ci fu l’unanimità