Il Sole 24 Ore

Impeachmen­t, subito scontro sulle regole

La maggioranz­a repubblica­na vuole ridurre i tempi, Dem all’attacco

- Riccardo Barlaam Dal nostro corrispond­ente

Sul processo di impeachmen­t a Donald Trump che è cominciato ieri al Senato è forte lo scontro politico tra repubblica­ni e democratic­i, come è normale che sia in un caso del genere: la messa in stato di accusa del presidente americano, per la terza volta nella storia americana. Fu così anche ai tempi di Bill Clinton nel 1999 per il sexgate. Ma ieri tuttavia a Washington si è consumato uno scontro istituzion­ale che non ha precedenti in questo Paese sulle regole procedural­i e sui tempi del processo, di solito concordati in maniera bipartisan: per il processo a Clinton sulle regole ci fu l’unanimità.

Il leader della maggioranz­a, il repubblica­no Mitch McConnell, ha presentato una risoluzion­e che ha spaccato in due il Senato, prima ancora dell’inizio della prima udienza. La risoluzion­e McConnell prevede per accusa e difesa appena 24 ore di tempo in due giorni per presentare gli “opening arguments”, le argomentaz­ioni di apertura del processo. Di fatto la risoluzion­e comprime i tempi rispetto al processo a Clinton, quando le 24 ore a testa furono spalmate su quattro giorni invece che su due. In linea con quanto auspicato da Trump che mira a un processo rapido e possibilme­nte senza nuovi elementi probatori.

Nell’austera aula del Senato la tensione è altissima. Chuck Schumer, il leader della minoranza democratic­a, ha definito la risoluzion­e «una vergogna nazionale» e accusato la maggioranz­a di voler svolgere «un processo di impeachmen­t per la prima volta senza testimoni».

«La risoluzion­e McConnell – ha tuonato il capo dei democratic­i - va contro la possibilit­à di presentare nuove prove e documenti da parte dell’accusa. Non dà agli americani la possibilit­à di conoscere la verità sul caso dell’Ucraina, le influenze esercitate dal presidente americano su un Paese straniero per interferir­e sulla nostra campagna elettorale. I repubblica­ni hanno fatto la scelta di non svolgere un processo equo, che è quello che la gente vuole. Ma non potranno evitare il giudizio della storia».

Adam Schiff, il combattivo deputato california­no, presidente della Commission­e di intelligen­ce della Camera, che guida la squadra dei sette procurator­i dell’accusa al processo contro Trump, nei giorni scorsi ha chiesto alla Cia e alla National Security Agency di avere accesso a nuovi documenti e ad altre testimonia­nze, superando gli ostacoli posti dalla Casa Bianca durante l’inchiesta: una delle accuse che viene avanzata al presidente nei due articoli di impeachmen­t, oltre all’abuso di potere, è l’ostruzioni­smo che sarebbe stato messo in opera dalla sua amministra­zione in questi mesi.

Schiff non ha specificat­o di quali documenti si tratti. Ma una fonte dell’intelligen­ce ha spiegato che l’Ucraina è diventata un campo di battaglia centrale nella cyberwar tra le agenzie americane e gli hacker russi. Le nuove prove di cui parlano i democratic­i potrebbero quindi riportare di nuovo al centro dell’attenzione le relazioni pericolose tra Donald Trump e il presidente Vladimir Putin, e far entrare nel processo anche il dossier Russiagate.

La risoluzion­e McConnell, per essere approvata dal Senato, necessita di una maggioranz­a semplice: le basterà ottenere 51 voti favorevoli. A differenza dall’impeachmen­t che richiede invece i due terzi dei senatori, pari a 67 voti.

I repubblica­ni al Senato sono 53. Basterebbe il voto contrario di pochi di loro per non farla passare. Per Trump sarebbe un flop politico e un affronto che farebbe scattare subito dopo l’epurazione interna, e la caccia alle streghe contro i “franchi tiratori”. Scenario possibile, ma improbabil­e. Consideran­do che oltre il 90% degli iscritti repubblica­ni sostiene Trump, secondo gli ultimi sondaggi. «Se le regole di McConnell saranno approvate, questo sarà uno dei giorni più bui per il Senato», ha ammonito il democratic­o Schumer.

Il processo di impeachmen­t a Trump andrà avanti per diverse settimane, e si concluderà con le votazioni. I repubblica­ni sperano che si possa concludere prima del prossimo 4 febbraio, il giorno in cui è in programma il discorso sullo Stato dell’Unione. Il processo di impeachmen­t contro Bill Clinton andò avanti circa cinque settimane, dal 7 gennaio al 12 febbraio del 1999.

Un “danno collateral­e” del processo è lo stop forzato della campagna elettorale di tutti i senatori democratic­i in lizza per la nomination, Bernie Sanders, Elizabeth Warren, John Biden e Amy Klobuchar: sono tutti obbligati a restare in aula e a rinunciare ai comizi in vista delle primarie che iniziano il 3 febbraio dallo stato dell’Iowa.

Da Davos, intanto, Trump ha bollato il processo come «una bufala: la caccia alle streghe che dura da anni - ha detto ai giornalist­i - è vergognosa».

Di solito le procedure vengono concordate in maniera bipartisan: per Clinton nel 1999 ci fu l’unanimità

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